CLOUD SEEDING: cos’è e come funziona la pioggia a comando
La pioggia a comando. Potrebbe rappresentare la soluzione a tutti i nostri problemi ed infatti sono più di cinquant’anni che gli scienziati di tutto il mondo cercano una soluzione per favorire le precipitazioni. Il primo che ebbe questa intuizione durante una scalata in montagna nello Stato di New York, fu Vincent Schaefer che iniziò a confrontarsi con un fisico, poi diventato un premio Nobel, Irving Langmuir.
Cloud seeding: cos’è e come funziona
La teoria è semplice e comprovata, l’efficacia dubbia. Sappiamo che le nuvole si formano grazie all’evaporazione che portano alla formazione di tante goccioline che a loro volta generano le nuvole. Non tutte le nubi però portano la pioggia ma esiste un modo per stimolare la precipitazione utilizzando lo ioduro d’argento. A complicare le cose c’è il fatto che non tutte le nuvole sono adatte ad essere inseminate, solo quelle che si trovano ad un’altezza tale da avere una temperatura interna pari allo zero. A quel punto è possibile far decollare un aereo, sorvolare la nuvola e spargere ioduro d’argento che ha una struttura cristallina simile al ghiaccio. In questo modo viene indotta una reazione di congelamento del vapore acqueo che poi, formando cristalli di ghiaccio più pesanti, scenderanno al suolo sciogliendosi provocando la pioggia. Grazie ai modelli matematici di previsione meteorologica è possibile prevedere la formazione di nubi “interessanti” e quindi c’è tutto il tempo per organizzare la missione aerea di sorvolo. Ogni estate, quando viviamo il problema della siccità, girano sui social media video di come alcuni paesi desertici tipo gli Emirati Arabi, siano riusciti a risolvere il problema della siccità grazie al cloud seeding.
Perché solo alcuni paesi adottano il cloud seeding
Il professor Vincenzo Levizzani, dirigente di ricerca dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera del Clima del Cnr di Bologna è probabilmente uno dei maggiori esperti in fisica delle nubi. “Il fenomeno in sé, da un punto di vista della fisica delle nuvole, è sicuramente possibile e non è un caso che da molti anni, nazioni dalla Russia, alla Cina, Cuba, Sudafrica, Stati Uniti e perfino Italia, abbiano esplorato questa possibilità” afferma il professore. Il fondamento di qualsiasi esperimento scientifico deve essere la sua replicabilità e qui sorgono le perplessità. “Chi mi dice che una determinata nube che è stata inseminata abbia prodotto quella precipitazione grazie al cloud seeding o magari la pioggia sarebbe caduta comunque? L’atmosfera è un ambiente in cui gli esperimenti fisici non sono mai ripetibili, una nube non è mai uguale all’altra, questo è il problema di fondo”.
Katia Friederich, professore di Scienze Atmosferiche dell’Università del Colorado, ha studiato a lungo il cloud seeding con sperimentazioni sul campo. Anche se concorda sul fatto che ci sono molte variabili da tenere in considerazione, in laboratorio, a parità di condizioni, i risultati del cloud seeding sono stati positivi, inoltre è possibile usare la statistica. La professoressa Friederich si è concentrata sull’aumento di precipitazioni nevose in zone dove non aveva mai nevicato ed i risultati sono stati incoraggianti. “Non mi sento di dire che il cloud seeding sia la soluzione ai nostri problemi anche perché è difficile misurarlo” puntualizza la professoressa. “C’è chi ha rilevato incrementi del 10 o 15% di precipitazioni ma rispetto a cosa? Ad ogni modo se anche il vantaggio fosse del 2%, quindi minimo, in un momento di estrema carenza idrica, quel 2% potrebbe essere fondamentale per salvare i raccolti dell’agricoltura. Quindi mi sentirei di consigliare d’inserire il cloud seeding all’interno di un progetto più ampio, come un tassello, incluso il risparmio idrico”.
La Cina non sta a guardare
Perché proprio in quest’ultimo periodo il tema è tornato alla ribalta? Perché la Cina ha deciso di investire un budget enorme per sviluppare il cloud seeding non solo per un discorso di siccità ma anche per risolvere il problema dell’inquinamento delle metropoli cinesi. Le precipitazioni fungono da spazzini perché le gocce e i cristalli cadendo, intrappolano aerosol e gas inquinanti ripulendo l’aria. Per questo motivo la Cina sta investendo sul cloud seeding su larga scala, il che rende il progetto un osservatorio potenzialmente interessante per ottenere nuovi dati.
“C’è anche da constatare che Israele, il precursore del cloud seeding nel mondo, si sta concentrando sulla desalinizzazione del mare piuttosto che sul cloud seeding. Qualche domanda me la farei visto che anche in Israele, all’interno della comunità scientifica, c’è un acceso dibattito attorno ai risultati” afferma il prof. Levizzani
Le nuvole potrebbero salvarci dal riscaldamento globale
Se il cloud seeding divide la comunità scientifica di mezzo mondo, c’è una sperimentazione sulle nuvole che potrebbe aiutare a risolvere il problema del riscaldamento globale. Nell’atmosfera si formano stratocumuli marini ovvero spesse coltri di nubi che stanno ad un’altezza di circa tremila metri specialmente nelle zone oceaniche. Queste nubi sono la nostra “protezione solare” perché riducono le radiazioni. A causa del riscaldamento globale lo spessore di queste nubi si sta riducendo e di conseguenza diminuisce l’effetto filtrante aumentando l’effetto serra. L’idea è quella di far navigare nell’oceano dei catamarani a guida autonoma che prendono l’acqua del mare, la fanno evaporare liberando il sale che poi attraverso camini molto alti, viene iniettato nelle nuvole. Perché tutto questo? Per sbiancarle. Se non possiamo ripristinare lo spessore degli stratocumuli, possiamo però renderli più bianchi e quindi più riflettenti cercando di abbassare la temperatura terrestre, evitando lo scioglimento dei ghiacci.