Cinque cose da sapere sul passaporto vaccinale europeo
Ora ha un nome. Si chiama Digital Green Certificate, Certificato Verde Digitale, ed è quello che per diversi mesi in molti hanno ribattezzato, forse un po’ a sproposito, “passaporto vaccinale”. Si tratta dello strumento, presentato nei giorni scorsi dalla Commissione Europea, che potrebbe consentire di salvare uno dei principi base dei trattati fondativi dell’Unione, quella libera circolazione delle persone messa a dura prova dalle diverse misure assunte dai paesi nei mesi di pandemia: tamponi, quarantene, permessi ed eccezioni. Un Far West a cui Bruxelles vuole provare a dare ordine. La libertà di circolazione e soggiorno delle persone all’interno dei 27 paesi costituisce infatti la pietra angolare della cittadinanza dell’Unione, introdotta dal trattato di Maastricht nel 1992. A quel principio è inoltre legato l’epocale traguardo dell’eliminazione delle frontiere interne nel quadro degli accordi di Schengen.
Il passaporto potrebbe servire anche in vista della seconda parte della primavera e soprattutto dell’estate, stagione essenziale per tentare a ogni costo di far ripartire in sicurezza un po’ di turismo interno al Vecchio continente e magari anche internazionale. Quando un gran numero di cittadini sarà stato vaccinato. Solo per citare un dato, lo scorso anno, fra gennaio e settembre, le presenze nelle grandi città italiane sono calate del 70% rispetto al 2019. Per l’Unione turismo e mobilità significano quasi il 10% del Pil e tre milioni di imprese, in particolare medie e piccole. “Col certificato vaccinale puntiamo ad aiutare gli Stati membri a ritornare alla mobilità in sicurezza e coordinata” ha spiegato la presidente Ursula von der Leyen. “L’obiettivo è quello di riaprire“.
In cosa consisterà?
Il Digital Green Certificate sarà di fatto un QR Code digitale o cartaceo nel quale verranno memorizzate le informazioni necessarie a stabilire la possibilità di muoversi all’interno dell’Unione Europea o verso l’Unione Europea. Chiunque ne disporrà, questa la novità, dovrà ricevere all’ingresso in un paese membro lo stesso trattamento: gli stati potranno stabilire in autonomia le misure ma non potranno più diversificarle fra tamponati con esito negativo, vaccinati o guariti. A tutti dovranno riservare le stesse condizioni d’accesso che dovranno essere meno vincolati e penalizzanti rispetto a quelle riservate a chi non disporrà del certificato (a cui, ovviamente, sarà consentito di continuare a muoversi ma per così dire con i vecchi protocolli). Il certificato sarà ovviamente gratuito e legalmente vincolante in tutti i 27 paesi più, se lo vorranno, Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera.
Come si otterrà?
Occorrerà essere vaccinati con uno qualsiasi dei vaccini approvati dall’Agenzia europea per il farmaco, comprovare con un test sierologico un titolo anticorpale che segnali l’avvenuto superamento della Covid-19 oppure risultare negativi a un test NAAT/RT-PCR o antigenico rapido effettuato entro pochi giorni dalla partenza. A seconda delle decisioni dei paesi, il DGC potrà essere assegnato anche a turisti extracomunitari che abbiano ricevuto altri tipi di vaccino.
Chi potrà ottenerlo?
Tutti i cittadini dei paesi membri e i loro familiari, a prescindere dalla nazionalità, i cittadini dei paesi terzi che risiedono nell’Unione ma con ogni probabilità anche i visitatori che hanno il diritto di recarsi in alcuni degli Stati membri. Se, per esempio, l’Italia volesse ricominciare ad accogliere turisti cinesi, potrebbe integrare in fase di rilascio del visto anche questa procedura, accettando anche vaccinazioni, come si diceva, di altro tipo per dare “luce verde” e generare il codice per ogni turista.
Quando sarà disponibile?
L’obiettivo della Commissione è lanciarlo entro metà giugno, in tempo per l’estate. La proposta è ovviamente suscettibile di essere ulteriormente modificata nei prossimi due mesi: dovrà essere approvata secondo la cosiddetta procedura ordinaria, già nota come co-decisionale (anche se in questo caso forse accelerata). Il Parlamento europeo approverà cioè il Digital Green Certificate in parallelo all’approvazione del Consiglio, formato dai governi dei 27 Stati membri. Molto potrà cambiare perché, specialmente sulla eventuale e persistente contagiosità dei vaccinati, le informazioni scientifiche sono ancora intermedie e dunque molti governi temono in ogni caso che le persone che hanno ricevuto il vaccino possano comunque trasmettere l’infezione. Il rischio potrebbe essere che il DGC deragli e ripieghi su un più (inutile) certificato medico europeo.
Quali informazioni conterrà il certificato e quanto durerà?
Il certificato raccoglierà una serie limitata di informazioni: nome, data di nascita, data di rilascio, informazioni significative sul tipo di vaccino ricevuto, sul test effettuato e sull’esito o sul sierologico e un identificatore univoco del certificato. Il sistema, nel progetto di Bruxelles, dovrebbe rimanere in vigore finché l’Organizzazione mondiale della sanità non dichiarerà cessata la pandemia.