Cinque cose da sapere sul metaverso di Facebook
Che tutto cambi per fare in modo che, in fondo, nulla cambi. All’ultimo grande evento in streaming dedicato alle novità della realtà virtuale di Oculus Mark Zuckerberg ha svelato il chiacchierato progetto per il futuro del gruppo che ha fondato 17 anni fa e, nella sua visione, per l’intera rete che verrà. Si chiama metaverso, vediamo cosa significa, cosa cambierà al momento e quali sono le prospettive. Se, cioè, questo skyline digitale del XXI secolo non sia un bluff per affogare gli enormi problemi che la società si porta dietro o davvero una visione così luminosa e avveniristica del nostro futuro a cavallo fra reale, aumentato e virtuale.
Il cambio di nome: da Facebook Inc. a Meta
No, non è Facebook prodotto a cambiare nome ma Facebook società. Un po’ come per Google nel 2015, che divenne Alphabet raccogliendo sotto un solo cappello le diverse attività, adesso a fare riferimento a Meta saranno tutte le app e i prodotti del gruppo. In realtà l’articolazione societaria e fiscale sarà la seguente: da una parte i Reality Labs che diventano il focus di lunga scadenza del colosso con i dispositivi Oculus (l’ultimo è il Quest 2); dall’altra tutto il business legato appunto alle applicazioni ribattezzato Family of Apps, come Facebook, Messenger, Messenger Kids, Instagram, WhatsApp e altri prodotti. Il tentativo è evidentemente quello di fare un passo indietro, sganciando i prossimi progetti del gruppo da un brand, come quello di Facebook, costantemente sotto tiro e per certi versi tossico.
Che cos’è il metaverso
Zuckerberg vede lo sviluppo di internet come un insieme di mondi frutto di una sovrapposizione di realtà virtuale e aumentata a cui prendere parte con visori, occhiali, bracciali e altri dispositivi che verranno via via resi disponibili e sempre più sicuri e semplici da usare. Ben oltre, insomma, i videogame da giocare col caschetto ma qualcosa di più simile a quanto vivono per esempio i protagonisti del film “Ready Player One” di Steven Spielberg, a sua volta tratto dal quasi omonimo romanzo di Ernest Cline del 2010. Sono universi per i quali il cofondatore domanda una governance convidisa, una progettazione “safety by design” (come ha scritto la direttrice operativa Sheryl Sandberg) e per il cui sviluppo immagina una stretta collaborazione fra tutte le big della tecnologia e in cui potremo fare quasi tutto ciò che facciamo al momento nella realtà fisica. Calibrando di volta in volta l’esperienza come offline, arricchita o del tutto virtuale.
Bello ma cosa cambia per le applicazioni che usiamo ogni giorno
Nell’immediato nulla. Assolutamente nulla. Anche se progressivamente è verosimile che questo universo che Zuckerberg creerà attraverso differenti ambienti aprirà dei collegamenti sempre più stretti con Facebook, Instagram, Messenger, WhatsApp e le altre piattaforme. D’altronde occorrerà che l’utenza, per quanto il progetto sia di lungo periodo, prenda progressivamente confidenza con una serie di modalità di esperienza e di gadget (visori, occhiali, altre periferiche) al momento e per la maggior parte delle persone più note dalle serie di fantascienza che nella loro concretezza. Senza audience e applicazioni, d’altronde, chi traslocherebbe mai sul metaverso per divertirsi, socializzare e lavorare? E soprattutto, perché dovrebbe farlo senza un reale arricchimento dell’esperienza?
Quindi quali ambienti sono già disponibili nel metaverso?
Al momento il metaverso non c’è, nel senso che corrisponde ai progetti fruibili attraverso Oculus e alle applicazioni supportate o compatibili con i visori della famiglia. A tal fine Facebook ha lanciato un programma molto sostanzioso, e una ricca gamma di nuovi strumenti tecnici, per convincere sempre più sviluppatori a impegnarsi nel partorire ambienti e app da fruire in realtà aumentata o virtuale. Per ora sarà ad esempio possibile fare videochiamate in realtà virtuale su Messenger, sperimentare le riunioni a distanza e gli uffici virtuali con Horizon Workrooms o, a quanto si dice dal prossimo anno, assaggiare Horizon Worlds, il social network tridimensionale. Anche applicazioni terze come Slack o Dropbox dovrebbero sbarcare nell’universo Oculus. Del mondo digitale e immersivo a 360 gradi immaginificamente dipinto da uno svolazzante Zuckerberg – quello dove indossare un casco e invitare gli amici, che per magia si manterializzeranno con noi nelle nostre Horizon Homes – non c’è ancora traccia, ovviamente. Ma si tratta di primissimi esperimenti. Eppure altre realtà come Fornite di Epic Games o Roblox – ma in fondo tutta l’epopea del gaming multiplayer – raccontano che, in effetti, l’idea di partecipare a eventi in questa sorta di piccoli mondi paralleli funziona e macina numeri impressionanti. Bisogna capire se funzionerà farlo sul serio, proiettando il proprio avatar, percependo in qualche modo sensazioni reali, incontrandoci per davvero ma pur sempre chiusi in una stanza.
Meta è sola nella scommessa?
No, decine di aziende hanno imboccato quella strada in modo più o meno deciso. Molte realtà gigantesche che rimangono ancora dietro le quinte, come Microsoft che tuttavia controlla realtà come Minecraft, e appunto gli altri ambienti già citati che invece stanno facendo grossi affari sul metaverso 1.0, per chiamare così Fortnite, Roblox o PUBG fino alla cinese Tencent. Per il sito The Information, il metaverso potrebbe valere circa 82 miliardi di dollari entro tre anni. Zuckerberg scatta per primo, ci rifonda l’azienda (se per davvero o per finta, si vedrà), investe decine di milioni di dollari fin dall’anno zero del nuovo corso e attiva 10mila posti di lavoro nella vecchia Europa e va alla scommessa del (suo) futuro. Sperando non solo di convincere gli altri a seguirlo e a mettersi d’accordo con lui ma di lasciarsi alle spalle gli scandali, una piattaforma che non convince da tempo i giovani (e dunque gli utenti di domani) e salvare Facebook da un declino demografico al momento senza scampo.