Cambiamenti climatici for dummies
[et_pb_section bb_built=”1″][et_pb_row][et_pb_column type=”4_4″][et_pb_text _builder_version=”3.20.2″]
I cambiamenti climatici sono una realtà. Da anni, ormai, gli scienziati di tutto il mondo lanciano allarmi sulle conseguenze del riscaldamento globale. E i governi sono impegnati (con qualche eccezione) per tentare di mitigarne gli effetti. Ma in cosa consistono gli stravolgimenti citati dagli esperti?
Da cosa è causato il riscaldamento globale
Il primo a parlare di effetto serra fu il fisico francese Joseph Fourier, che nel 1824 descrisse la crescita della temperatura terrestre dovuta all’immagazzinamento del calore dei raggi solari operato dalla presenza dell’atmosfera. Quest’ultima, in altre parole, si comporta come una “barriera” attorno al nostro Pianeta, in grado di mantenerne mite il clima. All’epoca dello studioso transalpino, però, non esisteva una componente ulteriore rispetto al Sole. Che è invece determinante ai giorni nostri: quella legata alle “attività antropiche”, ovvero al contributo che, nell’ultimo secolo e mezzo, ha dato l’uomo al fenomeno del riscaldamento globale.
I combustibili fossili sono la principale causa degli sconvolgimenti climatici
A partire dalla seconda rivoluzione industriale, e per tutto il Novecento, il mondo intero ha trasformato radicalmente le proprie economie e i propri mezzi di produzione. E ha scelto di alimentare tale nuovo sistema sulla base della combustione di energie fossili. Così, quantità gigantesche di carbone, petrolio e gas sono state bruciate ovunque sulla Terra. Nell’atmosfera sono stati liberati di conseguenza enormi volumi di elementi definiti dagli esperti “climalteranti”, perché capaci di modificare gli equilibri climatici della Terra. È il caso del biossido di carbonio (più noto con la sigla CO2), ma anche, ad esempio, del metano.
Per comprendere quanto la situazione sia cambiata in questo senso negli ultimi decenni, è utile raffrontare la presenza attuale di CO2 nell’atmosfera rispetto a quella registrata alcuni decenni fa. Nel 1958, lo scienziato americano Charles David Keeling cominciò a misurare la concentrazione di tale gas sul vulcano Manua Loa, alle isole Hawaii. Il dato risultava, all’epoca, pari a 315 parti per milione (l’unità di misura utilizzata per indicare quanto biossido di carbonio è presente nell’aria). Dopodiché è cresciuto a 330 nel 1974. Arrivando nel 2018 ad oltre 410.
[/et_pb_text][slider_article _builder_version=”3.20.2″ type=”post_category_958″ /][et_pb_text _builder_version=”3.20.2″]
L’equilibrio naturale della Terra è entrato in crisi
È in questo modo che l’equilibrio del naturale effetto serra della Terra, dovuto alla presenza dell’atmosfera e all’irraggiamento solare, è stato fortemente perturbato. Problema ulteriore: la CO2 (così come altri gas: è il caso del metano) una volta emessa nell’atmosfera vi rimane per molti anni. Contribuendo così a far crescere la temperatura sul medio e lungo termine.
Il Rapporto speciale 15 (“Sr15”), documento redatto del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (Ipcc, secondo la sigla inglese) sulla base di oltre seimila studi, ha confermato di recente l’intera dinamica. Spiegando che già nel biennio 2017-2018 la temperatura media sulla superficie delle terre emerse e degli oceani è risultata di oltre un grado centigrado superiore ai livelli pre-industriali. E illustrando come, qualora il mondo non modificasse in nulla i propri sistemi produttivi, energetici, agricoli, industriali e di mobilità rispetto a quelli attuali, alla fine del secolo si potrebbero raggiungere i 3 o 4 gradi.
Cosa dice l’Ipcc
Quelli descritti potrebbero sembrare scostamenti di poco conto. Invece per i delicati equilibri terrestri si tratterebbe di una catastrofe. Lo stesso Ipcc ha avvertito infatti che gli sconvolgimenti saranno innumerevoli, anche con soli 1,5 gradi di aumento (dunque molto meno rispetto a ciò a cui il mondo sta andando incontro). Dallo scioglimento dei ghiacci polari al conseguente innalzamento del livello degli oceani, che arriverebbero a sommergere nazioni intere: è il caso degli atolli insulari del Pacifico, alcuni dei quali semplicemente scomparirebbero dalle carte.
La fusione ai poli potrebbe risultare talmente forte da far sì che, in estate, l’oceano Artico possa risultare completamente privo di ghiaccio nel prossimo secolo. Gli eventi meteorologici estremi, inoltre, diventeranno sempre più frequenti. Le barriere coralline potrebbero andare perdute quasi per intero. La mortalità delle specie crescerebbe vertiginosamente, soprattutto per quelle che hanno più difficoltà a spostarsi, con gravi conseguenze per la biodiversità. Molte aree della Terra diventerebbero così inabitabili e i migranti climatici potrebbero – secondo un calcolo della Banca asiatica per lo sviluppo – arrivare ad un totale di un miliardo di persone. Senza dimenticare ondate di caldo eccezionali, siccità e rischi crescenti per la salute umana.
Cosa possiamo fare per salvare la Terra
Proprio a causa della permanenza della CO2 nell’atmosfera, bloccare completamente il riscaldamento globale, è ormai impossibile. L’umanità, però, ha ancora a disposizione numerose armi per limitare il fenomeno e scongiurare così le conseguenze peggiori dei cambiamenti climatici. Occorre però uno sforzo comune, che coinvolga davvero tutti: istituzioni, governi, imprese, cittadini del mondo intero.
Le leve sulle quali si può agire sono molteplici. La prima è certamente la cosiddetta “transizione energetica”: occorre abbandonare definitivamente petrolio, carbone e gas, e passare ad una produzione di energia basata unicamente sulle fonti rinnovabili. A livello industriale, poi, è necessario imporre alle aziende che producono molta CO2 (a partire dalle più grandi) percorsi di riduzione e, in alcuni casi, di vera e propria riconversione.
Si devono poi sostenere i mezzi di trasporto sostenibili: bici al posto di moto, trasporti pubblici anziché privati, motorizzazioni meno inquinanti rispetto, ad esempio, ai diesel. Ma anche a tavola si può fare molto: una dieta ricca di carne da allevamenti intensivi è infatti fortemente impattante per l’ambiente, a causa delle emissioni di gas ad effetto serra del bestiame e all’enorme uso di acqua (e pesticidi) legato alla coltivazione industriale delle materie prime per i mangimi. I modelli di agricoltura intensiva, inoltre, dovranno lasciare il posto a quelli meno inquinanti. Privilegiare i prodotti locali e biologici consente, in questo senso, di limitare fortemente l’impatto climatico del cibo che acquistiamo. Si può inoltre puntare sul riciclo e sul riuso dei prodotti, al fine di limitare gli sprechi e ridurre la produzione di rifiuti. È inoltre fondamentale rendere più efficienti l’edilizia e le nostra abitazioni, ad esempio isolando i muri e installando finestre con doppi vetri, per limitare l’energia utilizzata per scaldarci.
Dobbiamo, in altre parole, ripensare le nostre economie e le nostre società. E farlo immediatamente. Perché se non si invertirà la rotta entro i prossimi anni, a quel punto sarà davvero troppo tardi per limitare la crescita della temperatura globale a “soli” 1,5 gradi centigradi. Le nuove generazioni si stanno dimostrando pronte al cambiamento, e lo stanno chiedendo a gran voce, nelle piazze. Ognuno di noi è chiamato a dare risposte concrete ma, soprattutto, ad agire.
Andrea Barolini
[/et_pb_text][/et_pb_column][/et_pb_row][/et_pb_section]