Bollate: il carcere modello senza sbarre
Cosima Buccoliero quando si è laureata in legge all’Università di Bologna nel 1992 aveva le idee chiare, voleva diventare magistrato. La vita invece l’ha portata altrove. Oggi è direttrice della Casa Circondariale Lorusso e Cutugno di Torino ma è diventata celebre in tutto il mondo per aver creato un modello di carcere inclusivo mentre era direttrice del carcere di Bollate a Milano. Nel 2020 ha vinto l’Ambrogino d’oro, il massimo riconoscimento della città milanese rivolto alle persone che si sono distinte nella società.
Il modello di carcere Bollate
La chiave del successo del modello carcerario di Bollate è stata la partecipazione all’organizzazione della vita quotidiana del carcere. “I progetti a Bollate non vengono calati dall’alto ma sono frutto di progetti partecipati con commissioni composte da detenuti che si fanno carico delle iniziative, le persone vengono responsabilizzate” racconta Cosima Buccoliero.
Sono nati così progetti come il call center in carcere o i tanti corsi professionali studiati ad hoc per ogni detenuto. Il progetto alla quale Cosima è più legata è sicuramente il nido aziendale. “Siamo riusciti ad aprire un asilo nido aziendale inizialmente rivolto ai figli del personale del carcere, poi esteso al territorio ed infine ai figli delle donne detenute”. Per la Buccoliero questo progetto rappresenta l’essenza di quello che dovrebbe rappresentare il carcere, un luogo inserito all’interno della società e non marginalizzato.
Non tutti i progetti sono riusciti. “Avevamo lavorato da tempo sul bilancio partecipativo ovvero portare avanti progetti mettendo insieme detenuti e comunità esterna partecipando ad un percorso condiviso. Forse a causa del Covid, non siamo riusciti a concretizzare”.
Il tema delle carceri torna sulla cronaca quando accadono scontri o suicidi e questo secondo Cosima è dovuto al fatto che si pensa al carcere come una sorte di oblio dove il tempo viene messo in pausa. “Il problema di questo approccio è che il carcere non mette al sicuro i cittadini, anzi, li espone ad ulteriori problemi quando il detenuto sarà fuori”.
La popolazione carceraria in Italia
A gennaio 2022 la popolazione carceraria ammontava a 54000 persone di cui circa 20000 stranieri. Oltre la metà dei detenuti è in carcere con una pena per reati minori. “I numeri sono troppo alti rispetto alle strutture che abbiamo. Qui a Torino, ad esempio, abbiamo molti detenuti con reati causati dall’indigenza. Forse prima di arrivare qui, qualcuno al di fuori si dovrebbe occupare di questi problemi”. Esiste poi un’altra questione. Gran parte del personale carcerario è composto dalla polizia penitenziaria che ha l’obiettivo di mantenere l’ordine. Manca invece tutto quel personale adatto a portare avanti percorsi legati al trattamento delle persone, a seguire le progettualità, alla riabilitazione. “Sono d’accordo che senza ordine non si può costruire progettualità ma se manca questa parte importante, il carcere non può garantire sicurezza per la collettività perché il reato verrà reiterato”.
Dall’esperienza di Cosima Buccoliero è nato il libro “Senza sbarre. Storia di un carcere aperto” edito da Einaudi, che ha permesso di far conoscere il modello Bollate all’esterno tanto che prossimamente il ministro della giustizia della provincia di Buenos Aires verrà a farle visita.
Donne e carcere
Nel libro viene affrontato anche il tema legato al genere. La Buccoliero riporta come durante il periodo natalizio sia più facile trovare un minimo di addobbi nelle celle degli uomini rispetto a quello delle donne e questo è dovuto anche a come è impostata la nostra società. Gli uomini hanno quasi sempre qualcuno fuori che li accudisce, una madre o una moglie. Le donne nella quasi totalità dei casi non hanno nessuno fuori. La popolazione carceraria femminile è più o meno uniforme in tutte le parti del mondo, rappresenta il 4 o 5% dei detenuti. Esistono studi che dimostrano come sia bassissima la recidività del reato da parte delle donne e della loro bassa pericolosità sociale tanto da chiedersi se il carcere sia lo strumento giusto o se un percorso diverso possa essere più efficace.
La nostra visione del carcere arriva attraverso il cinema, specialmente quello americano dove il sistema carcerario è completamente diverso essendo privato. “Tra i tanti luoghi comuni che mi danno fastidio è quando leggo -ha ucciso la tal persona e dopo dieci anni è in permesso premio- come se fosse uno scandalo, ma non lo è”. Secondo la Buccolieri ragioniamo troppo spesso con la pancia dimenticando il fatto che una persona che entra in carcere dopo un anno non è più la stessa che ha commesso il reato. “Dopo un periodo di anni quella persona sarà comunque fuori è ed è giusto che, dopo una valutazione di pericolosità sociale, il rientro nella società sia graduale”.
Ergastolo sì, Ergastolo no
Fra le tante cose da rivedere ci sarebbe anche l’utilità dell’ergastolo. “Secondo me è in contrasto con la finalità educativa della pena perché toglie speranza e se le persone perdono speranza non puoi chiedere niente. Dal punto di vista della gestione penitenziaria crea una situazione molto difficile”.
Eppure, nonostante questa best practice, la politica non sembra occuparsi di risolvere il problema delle carceri. “Il fatto è che non c’è lungimiranza nella politica. Il carcere, come è strutturato adesso, non garantisce la sicurezza dei cittadini, non facciamo altro che mandare fuori detenuti che poi rientreranno in carcere sostenendo un’enorme spesa pubblica. Bisognerebbe avere un pensiero strategico. A Bollate è stato possibile perché è stato un progetto che è partito da zero, mi rendo conto che in altre realtà carcerarie sia più complesso”. “Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri” diceva Voltaire e Cosima concorda con questa affermazione. “Il carcere è lo specchio della società. I problemi di una società non si vedono perché sono diluiti, nelle carceri invece sono concentrati. Prendersi cura delle carceri vuol dire prendersi cura della nostra società”.