Perché le aziende familiari sono ancora il tesoro dell'Italia
Il nostro Paese ha molti difetti, ma anche un gran numero di pregi. Abbiamo sicuramente un sacco di bellezze naturali, il nostro patrimonio culturale è invidiato in tutto il mondo, ma anche il tessuto sociale e familiare è ricco di lati positivi. E in più l’Italia ha un primato anch’esso spesso invidiato: siamo una delle nazioni in cui il risparmio privato è fra i più alti al mondo. Da queste considerazioni è nata una riflessione che ritengo importante soprattutto in questo periodo.
Spesso sento ripetere quello che è divenuto ormai un luogo comune: il male dell’Italia sono le imprese familiari, le loro dimensioni e le loro caratteristiche che non sarebbero adatte a crescere oltre a un certo punto, avremmo bisogno di strutture più moderne e flessibili per evolverci. La verità è esattamente l’opposto, il problema invece è quanto queste imprese sono capitalizzate e questo dipende dal mercato in cui operano. E’ il caso dell’Italia dove la mancanza di mercato efficiente ha impedito di operare con maggiore efficienza.
Eppure la nostra bilancia commerciale è in attivo nonostante le tasse, la burocrazia, il costo della manodopera e altri handicap che rendono difficile il fare impresa in Italia. Dati del marzo 2017 misurano una crescita del 15,1% rispetto all’anno precedente, equivalente a 4 milioni di euro. E tutto ciò grazie alle aziende medio-piccole a gestione familiare, che hanno fatto la storia del nostro Paese (pensiamo al caso della Ferrari) ma che costituiscono ancora oggi la colonna vertebrale fondamentale della nostra economia.
E non è solo un caso prettamente italiano. Un altro pregiudizio riguarda per esempio gli Stati Uniti: quando vi pensiamo, la prima cosa che viene in mente sono le grandi corporazioni multinazionali o i grandi gruppi finanziari. Un libro divenuto ormai un classico nella letteratura finanziaria, Stocks for the Long Run di Jeremy Siegel, ha dimostrato che nella storia degli Usa le medie imprese familiari anche qui hanno generato più valore di quanto abbiano fatto quelle a carattere manageriale. Ovviamente, all’estero così come in Italia, queste imprese familiari devono essere solide, attente, ben strutturate e, oggi come oggi, anche sostenibili.
Per raggiungere questo obiettivo bisogna sicuramente cambiare il modo in cui pensiamo e produciamo investimenti alle imprese. Intorno a noi il mondo è cambiato, la crisi economica ha sovvertito parecchi equilibri e da più parti il sistema nella sua totalità deve essere rinnovato.
Perché negli ultimi anni le aziende italiane hanno faticato così tanto? Una risposta semplice sta proprio nel ruolo delle banche: nel nostro Paese l’80% dei finanziamenti alle imprese viene dalle banche stesse (negli Stati Uniti la percentuale è del 30%); se queste chiudono i rubinetti, le attività economiche si trovano con l’acqua alla gola. Questo a mio avviso è l’handicap più grave.
Assieme alle altre pesantezze del nostro ordinamento economico, il sistema banco-centrico ha rallentato la crescita e lo sviluppo delle imprese. Altrove ci sono i venture capitalist che si specializzano nei finanziamenti in particolari settori, ma da noi sono arrivati solo di recente. Ma dal dicembre 2016 qualcosa è cambiato: una rivoluzione potenziale sta avvenendo proprio di fronte ai nostri occhi.
Sono stati istituiti infatti i piani di risparmio individuale: oggi i privati possono decidere di investire somme fino a 30mila euro in imprese italiane, ricevendo in cambio sgravi fiscali e potenziali rendimenti molto interessanti. Il vantaggio di questi PIR è essere un investimento a lunghissimo termine che sarà sicuramente quello a più lunga durata nei portafogli degli italiani grazie alle esenzioni fiscali, infatti, il risparmiatore, in caso di necessità, sarà verosimilmente, indotto ad attingere da investimenti che sono tassati.
Vediamo profilarsi all’orizzonte un mercato finanziario efficiente al quale le piccole e medie imprese potranno accedere. Potranno – per esempio – finanziare i loro progetti di crescita attraverso aumenti di capitale o sottoscrizioni di prestiti a medio termine con sostituzione dei normali aumenti a breve che non danno nessuna sicurezza di disponibilità nel tempo.
Siamo di fronte a un cambiamento epocale e io, in quanto presidente di un istituto bancario, mi sento in dovere di fare tutto il possibile per agevolare e far conoscere questa opportunità. Per questo nei mesi scorsi abbiamo girato l’Italia con un road show apposito. Infatti sono sempre più convinto che per essere grandi imprenditori non bisogna avere necessariamente un’impresa grande ma un’impresa ben capitalizzata: la tradizione italiana delle aziende familiari e nuove opportunità di investimento come i PIR mi danno ragione.