Arte e intelligenza artificiale: in che modo possono lavorare assieme? Intervista a Federico Bomba
Il rapporto possibile tra arte e intelligenza artificiale, spiegato da un esperto
Arte e intelligenza artificiale si parlano da tempi non sospetti. È dagli anni ‘50 che gli artisti esplorano l’uso di computer mainframe, plotter e algoritmi per la creazione di artefatti visivamente interessanti. Ma ora che l’IA è uscita dai laboratori e ambisce a prendersi un pezzetto della nostra quotidianità, con sistemi amichevoli come ChatGPT, gli artisti sono chiamati a svolgere anche un ruolo critico nei confronti del nuovo arrivato, come spiega a Centodieci Federico Bomba, direttore della collana Nonturismo di Ediciclo e ricercatore presso il laboratorio di Tecnologie Umanistiche della Facoltà di Scienze e Tecnologie informatiche della Libera Università di Bolzano. In questi anni, Bomba da consulente art&science di istituzioni museali e da direttore artistico di Sineglossa ha indagato spesso il rapporto tra arte e intelligenza artificiale.
Cominciamo dal principio: di cosa si occupa Sineglossa?
Sineglossa nasce nel 2014 chiedendosi come l’arte possa impattare nella quotidianità delle persone. Una domanda un po’ astratta e molto filosofica, che ci ha guidato all’inizio. Ma in seguito abbiamo capito che avremmo dovuto strutturare dei processi che uscivano dai luoghi deputati alla cultura e cominciare a collaborare con professionalità che potessero in qualche modo riconoscere il ruolo dell’arte, non solo come intrattenimento, ma come modo di vedere il mondo e di trasformarlo. Oggi lavoriamo su 3 filoni, uno dei quali è quello che chiamiamo tech for good ed è legato in maniera verticale all’utilizzo dell’intelligenza artificiale nell’arte.
Qualche progetto in tal senso?
Il primo che mi viene in mente è il progetto di Roberto Fassone e l’intelligenza artificiale AI LAI, da cui è nata la mostra And We Thought III, visitabile fino al 26 febbraio a Bologna, che si domanda cosa produrrebbe un’IA se facesse uso di funghi allucinogeni, prendendo una delle visioni prodotte dalla macchine per dare vita ad una trilogia di film dei Led Zeppelin. Poi, a Bolzano, abbiamo sperimentato una nuova co-creazione tra esseri umani e macchine con il drammaturgo Mariano Dammacco e 7 suoi assistenti, per mettere alla prova le abilità di scrittura drammaturgica di ChatGPT. L’idea a cui lavoreremo nei prossimi mesi è quella di scrivere il primo testo teatrale in italiano in collaborazione con una macchina. Quello che stiamo notando, man mano che andiamo avanti, è la scarsa qualità di scrittura di GPT: non è ancora sufficientemente alta per poter produrre dei testi, ma è efficace nella generazione di idee insieme alla macchina.
Quali capacità artistiche avete riconosciuto all’intelligenza artificiale di OpenAI?
Ci siamo resi conto che ChatGPT è brava a fare degli “spiegoni” e a filosofeggiare, sa spiegare le cose per bene, ma la capacità di costruire immagini sintetiche tipiche della letteratura di qualità, che con uno schizzo riescono a delineare una situazione, un personaggio, un’emozione, non ce l’ha.
In che modo arte e intelligenza artificiale si parlano in questo momento in Italia?
Quello che con Sineglossa stiamo facendo è abilitare gli artisti all’uso di queste tecnologie, organizzando percorsi formativi in giro per l’Italia in cui creative technologist e programmatori forniscono un’infarinatura generale su strumenti e competenze tecniche, mentre Sineglossa lavora sulla collaborazione tra arte e IA. Le possibilità di dialogo sono molteplici. Ma quello che credo sia più interessante, rispetto ad altri usi, è la capacità propria degli artisti di usare “male” o, per meglio dire, in maniera “stravagante” la tecnologia, quasi come a sprecarla, a forzarla a fare ciò per cui quella tecnologia non è stata programmata. I software pensati dagli informatici perlopiù agiscono secondo un sistema di causa effetto o di problem solving. Esempio: devo sviluppare un’app per individuare il migliore ristorante della zona. Gli artisti, invece, non sono problem solver ma problem maker: i problemi li creano. Ed è proprio grazie a questo che riusciamo a sviluppare uno sguardo critico sull’intelligenza artificiale, che altrimenti non avremmo.
Dunque, il rapporto tra arte e intelligenza artificiale nel futuro si rivelerà nel modo in cui l’artista cercherà di mettere a nudo dei meccanismi dell’IA e di avere, di conseguenza, una visione critica verso di essa?
L’artista è colui che, più di altri, può fare da mediatore, esplorando questo dis-utilizzo della tecnologia. Ma c’è un passaggio successivo, che ritengo altrettanto importante: attraverso l’opera d’arte, l’artista genera stupore, suscita emozioni, e raggiunge così un pubblico ampio a cui offre l’opportunità di accedere più facilmente ai contenuti introdotti da questa nuova tecnologia. Il modo in cui l’IA viene costruita oggi è deciso da un piccolo gruppo di addetti ai lavori, tecnologi che spesso ne ignorano, o subiscono, il potenziale rivoluzionario. Poiché l’IA sta trasformando le nostre vite, dovrebbe essere nell’interesse di tutti informarci e impegnarci per prevenire i rischi che potrebbe portare.
Le viene in mente qualche artista, che in questo momento al mondo, sta lavorando su questo tipo di concetto?
Refik Anadol è sicuramente tra i nomi più significativi, un artista che crea ambienti onirici e esperienze immersive attraverso l’uso di algoritmi di intelligenza artificiale. Oppure Anna Ridler, un’artista inglese i cui progetti ci mostrano su cosa dobbiamo fare attenzione rispetto all’intelligenza artificiale. E poi, naturalmente, Paolo Cirio, un artista italiano che vive a New York.
Parafrasando Walter Benjamin, l’opera d’arte nell’epoca della riproducibilità tecnica, in che modo si può avvalere dell’intelligenza artificiale? Possiamo immaginare la moltiplicazione della produzione artistica, senza sforzo da parte dell’artista, come sognava neppure tanto segretamente Andy Warhol?
Assolutamente sì. E qui osserviamo che l’intelligenza artificiale apre una voragine nel tema dell’autorialità che investe la velocità di produzione, anzi, di riproduzione, visto che l’IA consente di produrre qualcosa di nuovo, che in realtà è una post-produzione di materiali che lei ha digerito ed elaborato dai dataset con cui è stata allenata.
Anche quando un artista utilizza ChatGPT per la scrittura o MIdjourney per la realizzazione di immagini, in realtà sta utilizzando una quantità incredibile di dati presi da opere realizzate da altri artisti, finiti all’interno di un calderone e re-mixati. A quel punto le domande che dobbiamo farci sono: chi è l’autore reale di quel di quel progetto? Sono gli artisti o l’azienda che ha prodotto il software e che quindi è titolare degli algoritmi? E quanto ci chiederà? Vorrà essere riconosciuta come autrice dell’opera in quanto grazie al suo software quell’opera è stata realizzata? Tutte domande che per ora sono senza risposta.