Amazon apre un nuovo polo in Italia. Sapete che presto compreremo ogni cosa solo su questo sito?
Esiste un “modello Amazon”? “It’s the economy, stupid”, non è una questione di libri. Il colosso americano sembra pronto a investire nel suo secondo polo logistico in Italia: mille assunzioni e 70 milioni di euro non si discutono. Meglio capire come funziona e se è trasferibile in altri contesti. Ma che nome dare a un sistema che fa incontrare il consumatore e un prodotto, uno qualsiasi, con un’efficienza ormai nota? Disintermediazione, e-commerce, just-in-time?
Se oggi i business di successo sono quelli che fanno risparmiare al consumatore spazio e tempo, Amazon è uno dei migliori. Sostituirà i supermercati, annienterà le librerie e gli editori, i suoi robot rimpiazzeranno per sempre i magazzinieri, i suoi algoritmi – in grado di elaborare le possibili scelte d’acquisto dei clienti già attivi – manderanno in pensione i commessi, oppure non sopravvivrà e finirà per esplodere? Suscita tante domande perché ormai è un competitor per tutti.
Non è un business di prodotto – può vendere dal cibo fino alla fornitura di servizi; non è connesso a qualità/prezzo – sta livellando il differenziale di prezzo dei libri proponendo pacchetti “all you can read” in cui è possibile leggerne o scaricarne una grande quantità a cifre molto ridotte. Non è neppure una questione di margini, perché punta solo a fare grandi volumi e ricavi. Ed è qui il punto di osservazione migliore per comprenderne la sua efficacia: Amazon ha un elevato livello di competitività perché è campione nel portare efficienza al mercato. Fa incontrare domanda e offerta meglio di chiunque altro e infatti la generazione del suo valore si riassume con everything, everytime, everywhere, ovvero portare qualsiasi cosa, ovunque, in qualsiasi momento.
A titolo di confronto, il modello della Lean Production, termine che descrive il metodo di “produzione snella” di Toyota, mostra alcuni punti chiari per comprendere anche Amazon. Se con Lean si intende la massima riduzione degli sprechi – in giapponese “muda” – fino al loro azzeramento, Amazon è paradigmatica. Non attiva funzioni che non siano produttive di valore; infatti non ha scaffali fisici per mostrare i libri. Questi ultimi, invece, per i modelli di business tradizionali, partono dall’azienda grafica in un punto A, arrivano nella sede del distributore o di un magazzino al punto B, da cui vengono smistati, a seconda di quantità di ordinativi, più o meno grandi, e giungono, dopo diversi passaggi, sullo scaffale della libreria, il punto C.
Tre passaggi e il valore del prodotto è ancora aleatorio; non essendo ancora stato venduto rimane un costo e, nella peggiore delle ipotesi, deve ripercorrere i passaggi all’inverso, in caso di reso. Questi continui stop & go rappresentano proprio gli “eccessi di attività” avversati dalla Lean: non generano valore (incerto finché non si vende), e rappresentano solo costi (certi).
Amazon spedisce invece il venduto, evitando di spostare una cosa lontano dal suo punto di utilizzo – altro dettame della Lean. È un’analisi pignola? No. Ogni anno vengono spostati milioni di oggetti, per cui anche l’aria in eccesso dentro a un pacco che contiene un semplice dvd è in qualche modo incidente sui costi di gestione. «L’azienda manca di tre dei principali elementi della vendita al dettaglio convenzionale: uno showroom all’interno del quale i clienti possono toccare i prodotti; venditori sul posto che attirino i potenziali clienti; e gli strumenti per permettere ai clienti di entrare in possesso dei loro acquisti non appena viene terminato l’acquisto» scrive George Anders su l’MIT Technology Review. Ed è qui la logica no frills – senza fronzoli – che esemplifica il modello in questione, concentrato su ogni attività che produca e conservi il valore.
Ma dove nasce questo valore? Supposto che il lettore americano medio acquisti cinque libri l’anno, e quello europeo magari tre o quattro, nasce in quei pochi secondi in cui viene esercitata la decisione di acquisto. È qui la differenza tra un acquisto on line immediato, e andato a buon fine, e una mancata vendita – quante volte ci capita?! – perché il prodotto non c’era, né sullo scaffale, né in magazzino. Il fattore tempo è allora una delle variabili chiave del successo di Amazon: vince in pochi secondi, perché quando decidi di comprare (poche volte l’anno) lui c’è.
«Molte aziende hanno preso Amazon alla leggera perché credevano, a torto, che non avesse a che fare con il loro settore di attività» scrivono Luc de Brabandere e Alan Iny ne La scatola delle idee (Egea, 2014), mentre Amazon disintermedia in ogni settore – la distribuzione dei libri su tutti – che presenta anelli deboli. La materia prima invece è ormai portatrice di una parte minima del valore, perché sono spazio e tempo i veri valori per ognuno di noi nei quali portare efficienza. Come si dice ora: to amazon something, e ciò sembra la chiave di tutto.