Algoritmi oppure uomini, chi è più saggio?
I presenti al World Business Forum di New York saranno sicuramente rimasti interdetti quando il premio nobel Daniel Kahneman ha dichiarato che “gli algoritmi sono più saggi e bravi di noi”. se fornisci gli stessi dati a un essere umano e a un algoritmo, nel 50% dei casi l’algoritmo dà la risposta giusta. Solo in rarissime occasioni prevale l’essere umano.” Una provocazione? Sicuramente, ma come ci ha raccontato Gramellini nel suo Caffè del mattino, può anche succedere che, se il tuo cognome è Negro ed hai una concessionaria, non puoi fare pubblicità alla tua attività su Facebook perché il suo algoritmo lo riconosce come parola razzista e offensiva verso altri. Così come le infinite pubblicità che ci arrivano una volta che l’algoritmo ha capito i nostri gusti o le nostre abitudini, ma non sa quando è il tempo di fermarsi perché potrebbe incappare in una spiacevole gaffe che di saggio ha veramente poco.
Come in molte altre situazioni, dunque, è il buon senso che non deve mai mancare, sia nelle persone che negli algoritmi (comunque gestiti dagli umani).
Nel libro 21 lezioni per il XXI secolo (Bompiani, 2018) Yuval Noah Harari solleva la questione che gli “algoritmi che elaborano i Big Data potrebbero instaurare dittature digitali in cui tutto il potere è concentrato nelle mani di una minuscola élite mentre la maggior parte delle persone soffre non tanto per lo sfruttamento, bensì per qualcosa di molto peggiore: l’irrilevanza.” Sottolinea come se da una parte le multinazionali e gli imprenditori che guidano la rivoluzione tecnologica tendono a decantare i risultati ottenuti facendo credere che sono per il bene dell’umanità, dall’altra il rischio che sociologi, filosofi e storici non possono tacere, è che tutte queste innovazioni tecnologiche potrebbero “espellere dal mercato del lavoro miliardi di soggetti e mettere a rischio sia la libertà che l’uguaglianza.”
Quindi robot e intelligenza artificiale al posto di operai, cassiere, operatori di call center non è più fantascienza ma realtà, solo che l’auspicio è che con un algoritmo per collega si possa lavorare meglio, come lasciano ben sperare anche le previsioni fatte da Unioncamere e Ampal. È risultato che entro il 2023 il settore pubblico e quello privato potrebbero prevedere un piano di assunzioni che si aggira tra le 2,5 milioni e le 3,2 milioni unità e la richiesta nei diversi ambiti sarà trainata proprio dalla trasformazione digitale e dalla continua richiesta di eco sostenibilità.
Sarà all’uomo utilizzare in modo etico e giusto l’algoritmo ed è ciò che Pedro Domingos, docente di Machine Learning a Washington invita a fare perché gli algoritmi sono sicuramente più oggettivi dell’uomo, ma non significa che bisogna fidarsi di loro senza riserve. “Tutti dobbiamo comprendere cosa sono gli algoritmi e che cosa fanno, così da poterli controllare. Se lasciamo siano altri a controllare gli algoritmi che decidono al posto nostro non possiamo poi sorprenderci che quelle decisioni rechino benefici a loro e non a noi.” Sempre Domingos dice che “gli algoritmi non sottraggono, ma aggiungono alle decisioni umane. Quando un algoritmo impara un modello di te dai tuoi dati,
sta imparando a imitarti: a prendere decisioni che prenderesti tu stesso se ne avessi il tempo e la pazienza.”
Ed è su quest’ultimo pensiero che dovremmo riflettere prima di schierarci sull’uno o l’altro versante.