Al lavoro per cambiare il mondo
Recentemente mi sono trovato a parlare di sostenibilità con un gestore di fondi di investimenti PIR, il quale mi raccontava come nel comparto delle realtà aziendali medio piccole l’attenzione alle tematiche sociali e ambientali stia sempre più diventando un driver veramente importante per guidare le scelte di investimento.
Un numero sempre maggiore di investitori finanziari, mi diceva, chiede alle società di avere informazioni circa le pratiche che esse mettono in atto in materia di impatto ambientale, sociale e di buon governo dell’azienda in quanto sono proprio tutti questi aspetti insieme a contribuire ad accrescere il valore dell’azienda stessa.
Si osserva dunque uno sforzo da parte di molte società, comprese quelle più piccole, nel prestare un’attenzione sempre crescente a queste tematiche nella gestione quotidiana del proprio business, attenzione che porta a intraprendere dei veri processi trasformativi che risultano infine essenziali per evolvere in modelli sostenibili.
Ma da dove inizia questo processo di trasformazione?
Certamente non può prescindere dalla volontà dell’imprenditore che l’ha maturato. Un simile cambio di rotta, che primariamente è un fatto culturale, può essere attuato solo attraverso il coinvolgimento del Top Management il quale favorirà lo sviluppo di idee e azioni concrete attraverso il pieno coinvolgimento di tutta l’azienda. Si tratta di un approccio rotondo che non solo risponde alla logica top-down, ma ricerca e accoglie anche ogni utile spinta che può arrivare da quasiasi livello sottostante. Ciascun dipendente, collaboratore o impiegato è potenzialmente un portatore attivo di innovazione sostenibile.
Affinché uno scenario così complesso possa realizzarsi è necessario in primo luogo, come dicevo, coltivare una cultura aziendale condivisa che riconosca la propria visione, il proprio scopo, i propri obiettivi economici, ambientali e sociali, e la strategia per raggiungerli. Saper riconoscere e raccontare tuttavia non basta, occorre anche che ciascun individuo che compone quel tessuto aziendale in evoluzione, si riconosca in quella cultura, e per questa ragione, la persegua.
Siamo certamente di fronte a un percorso virtuoso che per esistere non può fare a meno di dedicarsi all’ascolto delle parti di cui un’azienda è composta, di tutti e di ciascun stakeholder. Con una capacità di ascolto approfondita e larga che sappia privilegiare la qualità tramite l’approfondimento delle interlocuzioni con i soggetti, senza nulla sottrarre alla quantità degli intervistati.
Un simile ascolto attivo è generatore di virtuosità in quanto stimola al miglioramento e si manifesta quando vi sono le giuste condizioni di libertà da pregiudizi e capacità critica. In questo contesto, con l’obiettivo del massimo profitto della pratica dell’ascolto, dobbiamo imparare a riconoscere le trappole più subdole che risiedono nelle nostre abitudini più radicate nella normalità, quelle che ci spingono a dare per scontati alcuni comportamenti, o a darli per certi oppure per non modificabili. In uno spazio sgombro da pregiudizi, la capacità di riconoscere la validità di un’idea o di una buona pratica proposte, diventa più chiara e misurabile con maggior precisione.
Infine, ma non per importanza, l’elemento del feedback è sempre un utile alleato per misurare il grado di condivisione, il livello di penetrazione o i risultati raggiunti da una nuova pratica introdotta o da una nuova idea proposta. Il momento dell’allineamento tra le parti, oltre a servire da verifica degli obiettivi prefissati nel piano di lavoro, è un validissimo alleato per far emergere i risultati raggiunti e un’occasione per celebrarli.