Abitare (sul)la Luna
Per la prima volta in Italia, un concorso chiede a giovani firme dell’architettura di progettare un insediamento su un altro mondo.
La nuova frontiera dell’abitare potrebbe riportare il genere umano nelle caverne. Questa volta, però, sulla Luna. Il parallelismo con le popolazioni di età antica, quando alcune specie di homo trovarono rifugio dalle ostilità dell’ambiente nelle cavità naturali, può sembrare azzardato (e non privo di stereotipi). Eppure i punti in comune abbondano.
Vero, non ci sono belve feroci in agguato fra le lande seleniche, tuttavia sulla superficie lunare il “meteo” è quanto di più lontano dalla sopravvivenza si possa immaginare. Così, mentre la Nasa non manca di ripetere che sulla Luna si tornerà “per restare”, con il programma Artemis che potrebbe portare già nel 2025 la prima donna e il prossimo uomo a calcare la superficie extraterrestre, ci si ingegna per immaginare i nuovi insediamenti – e non è un caso che qualcuno abbia già presentato le nuove tute spaziali per lavorare sul nostro satellite.
Terra, qui Base Luna!
“Moon Station” è il primo concorso del suo genere nel campo della space architecture in Italia. In collaborazione con il Topical Team on Planetary Caves dell’Agenzia spaziale europea (Esa), è stato ideato da Young Architects Competitions, società bolognese specializzata nell’organizzare contest per giovani firme dell’architettura, e chiede di immaginare e progettare un insediamento dentro una caverna lunare. Soprattutto presuppone uno sforzo culturale per pensare a una civiltà che prenda forma lontano dalla sua culla planetaria, con un nuovo avamposto su un mondo alieno: “Questi luoghi naturali sono, per così dire, delle case dove puoi proteggerti dalle condizioni ambientali, dai pericoli esterni – spiega Francesco Sauro, speleologo del Topical Team dell’Esa, nel video che presenta la competizione – questo è vero per la Terra, ma è anche più vero per un ‘pianeta’ come la Luna“.
Sulla Luna le cavità sono centinaia, anche se diverse da quelle terrestri: i “lava pit”, che oggi si aprono come grossi buchi nel terreno, erano canali lavici risalenti a quando la Luna era geologicamente molto più attiva. Il loro collasso ha lasciato enormi gallerie, la cui profondità può arrivare a qualche chilometro e con volte alte anche centinaia di metri. Secondo alcuni studi basati sui rilievi satellitari, qualcuna sarebbe abbastanza spaziosa da contenere una città intera.
Città che avrebbero condizioni ben diverse dagli omologhi terrestri: vivere sulla superficie di un posto come la Luna comporta infatti numerosi inconvenienti, sulla Terra scongiurati dalle protezioni che difettano al nostro satellite naturale. Senza atmosfera, per esempio, manca uno schermo che protegga dalle radiazioni più violente e dai micrometeoriti. Sassolini di pochi centimetri, che quando piovono sulla Terra provocano, nell’ipotesi peggiore, una luminosa “stella cadente” bruciando in atmosfera, sulla Luna possono diventare proiettili, che viaggiano a diversi chilometri al secondo (molto più veloci di quelli sparati da una pistola) e si schiantano sulla superficie. L’atmosfera e, soprattutto, il campo magnetico, ci proteggono inoltre dai raggi cosmici, particelle cariche espulse dal Sole o provenienti da fuori il Sistema solare, ionizzanti, cioè in grado di distruggere i legami molecolari, alterare il DNA, provocare seri danni all’organismo e l’insorgere di tumori.
Il Topical Team, di cui Sauro fa parte, è stato istituito per supportare l’Agenzia spaziale europea nello sviluppo di una strategia che includa le grotte lunari nel quadro dell’esplorazione del nostro satellite: “Conosciamo più di 230 caverne sulla Luna e più di 1300 ingressi di caverne marziane” prosegue Sauro. “C’è un potenziale enorme per quanto riguarda il Pianeta Rosso, perché riteniamo che qualora ospitasse vita microbica, questa avrebbe probabilmente trovato rifugio nelle caverne. Possiamo andare su questo pianeta, esplorarlo, prendere campioni, ma uno degli aspetti misteriosi, del quale non sappiamo nulla, è il regno sotterraneo. Sono le caverne“.
Sostenibilità extra-terrestre
Sono tutti ottimi motivi per sistemarsi al riparo da qualsiasi pericolo. È dunque dentro a uno di questi “pozzi” che i candidati al concorso sono invitati, da regolamento, a progettare la Moon Station. Una forma estrema di “in-situ resource utilization”, in gergo Isru, cioè l’utilizzo di materiali e risorse già disponibili sul posto, senza bisogno che vengano trasportati dalla Terra. La proiezione di un approccio sostenibile ben oltre l’atmosfera del nostro mondo.
Che, non a caso, è la filosofia implicita nel concetto di insediamento su pianeti extraterrestri. Tra i suoi dettami svettano l’uso della regolite (la “polvere” che ricopre la superficie) e dell’acqua lunare, magari conservata sotto forma di ghiaccio, da trasformare in mattoni ed elementi per costruire ambienti abitabili.
I progetti dovranno prevedere “quartieri” diversi per gli astronauti, gli ospiti e i servizi igienici; ambienti comuni e sala controllo; spazi per le colture idroponiche, dove coltivare con tecniche già sperimentate sulla Terra e sulla Stazione spaziale internazionale cibi vegetali per rendere più sostenibile e autosufficiente la colonia. Ambienti di svago come la palestra, di studio come i laboratori, di servizio come gli hub per i rover, airlock per accedere all’esterno e rientrare, un osservatorio per fare scienza sfruttando un cielo primordiale, uno spazioporto per il traffico di materiali, mezzi e persone. Serviranno impianti per la produzione di energia, solare e nucleare (vento non ce n’è, senza atmosfera), per la produzione di materiali dalle risorse lunari e strade per collegare i vari ambienti.
Per la prima volta, l’umanità si trova oggi nella possibilità di progettare il proprio futuro su un mondo diverso dalla Terra. La Luna sarà il campo di prova per spiccare il grande balzo verso Marte. Con un rimando esplicito degli auguri romani che precedevano la fondazione di nuove colonie, il bando di Young Architects Competitions ribadisce che “costruire in un luogo abitato è un atto solenne, sancisce la conquista di un territorio, la sottomissione della natura e dell’ignoto al genere umano”.
Suona quasi come fosse una promessa: la Luna dovrà essere una “nuova Terra”, in un senso culturale più che ambientale, in cui la razionalità umana metta ordine nel caos, così come gli agrimensori romani disegnavano linee ortogonali lungo le quali sorgevano le città, che ancora, dopo più di duemila anni, ne portano la forma.Ogni designer avrà davanti a sé una tabula rasa per inventare nuove soluzioni di comfort ed ergonomia, di praticità e, perché no?, bellezza; per dare una casa a chi si troverà a vivere e lavorare a centinaia di migliaia di chilometri dalla propria. Vero, non troverà bestie feroci dai denti a sciabola o malattie letali, ma radiazioni e proiettili cosmici fuori dalla sua caverna ben arredata abbonderanno. La Luna sarà l’era primitiva della nuova Umanità.