7 HR manager su 10 usano i social per controllare nuovi candidati. Ecco come farsi assumere col recruitment 2.0
Social recruiting e digital reputation, due attività che si fondono insieme. Da una parte un candidato che sfrutta le potenzialità della Rete e dei social media in cerca di un lavoro, dall’altra lo stesso individuo che non può trascurare come e quanto la propria immagine online venga giudicata da un responsabile delle risorse umane. Perché se il web permette un facile accesso ai profili social aziendali per ottenere informazioni e inviare un curriculum, è anche uno specchio con un doppio riflesso: gli HR manager inizieranno la selezione dalle tracce presenti su LinkedIn, Facebook, Twitter, Instagram e gli altri canali social aperti dallo stesso candidato.
Per capire l’importanza tra recruitment e social basta leggere i dati pubblicati sulla ricerca mondiale effettuata da Adecco in 24 Paesi che ha coinvolto più di 17mila candidati e 1.500 responsabili delle risorse umane. Tra tutti gli strumenti di selezione, il digitale è di gran lunga quello cresciuto maggiormente negli ultimi 24 mesi e destinato a esplodere nel corso del prossimo anno. A usare i social media per cercare lavoro sono cinque persone su dieci e sale al 70 per cento la percentuale degli HR manager che li utilizzano in ufficio tutti i giorni.
A livello globale, la metà dei jobseeker ha inviato una candidatura attraverso i social media, uno su tre è stato contattato online e uno su dieci ha ricevuto una proposta. Fra i diversi canali online, LinkedIn viene valutato dai candidati come il più efficace, pur con differenze significative tra i Paesi (è presente anche l’Italia) presi in considerazione nell’indagine. Nei profili social delle imprese la presenza di annunci di lavoro è considerato l’elemento più attraente, seguito dalla presenza di informazioni generali sulla società e dai contenuti postati direttamente dall’azienda. Prevale quindi un approccio 1.0, dove conta più la dimensione informativa rispetto a quella conversazionale. I più giovani intuiscono in misura maggiore il potenziale relazionale legato alle piattaforme, ragion per cui si impegnano di più nel networking professionale.
Inaspettatamente (ma neppure troppo) a destare maggiore interesse tra gli addetti ai lavori sono stati i profili non manageriali, a dimostrazione che, proprio come accadde una decina di anni fa per il recruiting online, anche il social recruiting sta ora riguardando gran parte della forza lavoro. Questo non significa che non ci siano delle differenze: sono più inclini al 2.0 gli individui con un tasso di scolarizzazione più alto e le donne sono leggermente più attive rispetto agli uomini. L’età, invece, sembra contare relativamente: anche i più senior sanno che non possono prescindere dal web.
Che cosa dicono invece i dati riguardo alla reputazione online dei candidati? Quello che pare ovvio e che i numeri confermano: un recruiter su tre ammette di aver cestinato un curriculum potenzialmente interessante dopo aver visto ciò che il candidato pubblicava online. In effetti, sta diventando sempre più frequente l’abitudine da parte dei selezionatori di controllare sui social network la reputazione di un candidato: in quest’ottica, LinkedIn è predominante (68 per cento), ma ha il suo peso anche Facebook (52 per cento), pur essendo generalmente considerato anche tra gli HR come una piattaforma più personale.
D’altra parte, l’indagine mostra come la stragrande maggioranza delle persone in cerca di lavoro non è cosciente né di quanto siano importanti le reti sociali, né di quanto visibile e accessibile (e a chi) sia il loro account. Per non perdere occasioni interessanti (o viceversa, per crearne di nuove) è opportuno sapere cosa interessa a un recruiter quando valuta dei profili sul web.
A seconda del social network di riferimento, saranno diverse le informazioni su cui si soffermerà il responsabile delle risorse umane. Su LinkedIn, per esempio, ad attrarre l’attenzione sono naturalmente gli elementi legati all’esperienza professionale. Ma sappiamo tutti quanto sia facile abbellire la propria biografia lavorativa. È per questo che i selezionatori sono molto attirati da premi e riconoscimenti, più difficilmente falsificabili. Se non si ha mai vinto alcunché, si può sempre dare evidenza a progetti particolarmente rilevanti, descrivendo nella sezione apposita i risultati raggiunti e aggiungendo file o link per maggiori approfondimenti.
Per quanto possa sembrare strano, il numero di contatti dei candidati conta relativamente per chi vaglia un CV su LinkedIn: anche in questo caso è forte la consapevolezza di quanto spesso la costruzione del network sia frutto di spam e non venga poi effettivamente curata. Fermarsi a qualche centinaio di connessioni, a meno di professionalità specifiche, è più che sufficiente per far capire che si è introdotti nel proprio settore e che si pratica un networking efficace. Aumentare pretestuosamente i contatti non fa che generare rumore.
La partecipazione attiva con post e commenti è ben vista, a meno che non siano in violazione con policy universitarie o del posto di lavoro. Meglio limitare selfie, condivisioni o contenuti non edificanti, anche in contesti informali come Facebook: qui la soglia di tolleranza è più alta, ma vale la regola di tracciare bene i confini tra pubblico e privato dell’account, impostando correttamente la privacy. Se è vero infatti che la percezione comune è che quella creata da Zuckerberg sia una piattaforma personale, è altrettanto evidente che se una cosa è ricercabile su Google diventa automaticamente pubblica.