Uscire dalla propria "bolla" si può (ma non si deve)
Una delle caratteristiche più particolari dei media digitali è che non sono uguali per tutti, non come un libro, un programma televisivo o una lezione. Ognuno di noi ha un’esperienza diversa da tutti gli altri, non solo perché abbiamo una maggiore libertà di movimento ma anche perché le piattaforme che usiamo di più ci mostrano una versione personale dei contenuti pubblicati. È un vantaggio, perché ci sono troppi contenuti, in gran parte non rilevanti per noi; può diventare uno svantaggio, perché rischiamo di vedere solo informazioni, notizie e pareri con cui siamo già d’accordo, che conosciamo già, che ci rassicurano. Chiamiamo questo rischio “bolle” e dimentichiamo che un tempo, quando il web era tutto pubblico e uniforme, sceglievamo di entrare in una bolla e di restarci proprio per sfuggire al conformismo in cui vivevamo tutti i giorni.
Quel tempo lontano era la metà circa degli anni ’90, quando cioè in Italia iniziarono a diffondersi i primi “online provider” e Internet uscì dalle università e dai centri di ricerca per entrare nelle vite di tutti noi. Contrariamente a quanto si pensi era già una rete incredibilmente socievole e gli strumenti per incontrarsi, conoscersi e chiacchierare online erano alla portata anche di chi non aveva competenze tecniche: chat, forum, mailing list e instant messenger e, un po’ più tardi, i blog. Quello che è veramente cambiato con l’arrivo di Facebook, Twitter e dei social media è la natura delle relazioni tra le persone online: prima di Facebook, che ci ha spinti/obbligati a iscriverci con il nostro vero nome e cognome, eravamo tutti anonimi, spesso irriconoscibili (cioè senza foto sparse in giro) e poco propensi a parlare delle nostre vite fuori dalla rete. Ci si incontrava e riconosceva tra simili in modo molto diverso dal solito: perché appassionati delle stesse cose, perché accomunati da un interesse, una disciplina, un hobby.
Il mondo digitale era quindi organizzato in punti d’incontro tematici, dove persone che non si conoscevano passavano il tempo a parlare del tema di loro interesse (che poteva anche essere trovare l’anima gemella o qualcuno con cui uscire la sera, ma più spesso era il fantasy, i giochi di ruolo o la cucina).
È un mondo che esiste e resiste ancora, molto forte anche su Facebook (che anche per questo ha deciso di puntare molto sui gruppi): oggi come allora le community tematiche sono la salvezza quando nessuno sembra capirti e capire la tua passione per il cosplay, l’uncinetto o la corsa.
Qual è e qual era il problema di questi mondi? Che spesso il legame tra i partecipanti diventava così forte e così stretto da impedire l’accesso ai nuovi arrivati e da impedire a chi già dentro di sbirciare fuori, cambiare aria, parlare d’altro, imparare cose nuove e diverse. Lo stesso problema che si può verificare nei social media, in ufficio, all’università, con i nostri amici, complicato dal fatto che la bolla in cui a volte finiamo non è tematica ma sociale, linguistica, culturale. In entrambi i casi siamo imprigionati in una segreta dalle pareti di vetro: non la vediamo, ma possiamo guardare fuori.
Un po’ di bolla, diciamocelo, fa bene: è come le safe house dei film di spionaggio, un rifugio dove scappare quando la sensazione di essere solo al mondo si fa troppo forte. Un po’ di bolla è come avere una X-Mansion a disposizione, un posto dove se siamo strani sono strani anche tutti gli altri. Se le persone intorno a te sono costruttive, gentili, brillanti e con interessi simili ai tuoi non è un problema, basta sapere che è così perché hai fatto in modo che lo sia (come? Ne parliamo un’altra volta!).
Ogni giorno, però, cerchiamo di fare un giro fuori, magari in altre bolle. Ecco sette suggerimenti per farlo divertendoci pure.
- Facciamo ricerche su Google in incognito (che vuol dire senza i filtri che personalizzano le ricerche)
- Iscriviamoci ad almeno una newsletter con punti di vista diversi (ma ben scritte e di qualità); io per esempio amo molto Right Richter, di cui la Columbia University dice “una selezione di news per chi di solito non legge testate conservatrici”; un equivalente italiano può essere List, di Mario Sechi, che offre sempre punti di vista molto diversi dal mainstream.
- Mettiamo in discussione una cosa di cui siamo convinti, anche pubblicamente. In Italia noi non facciamo gare di retorica a scuola, ed è un gran peccato. Facciamole sui social, anche dichiarandolo. Provare a sostenere un punto di vista opposto al proprio è un gran bell’allenamento.
- Facciamo due chiacchiere con la cassiera, il barista, il vicino di casa, uno sconosciuto, una persona che incute soggezione.
- Leggiamo il primo capitolo di un libro di un autore che disprezziamo o ascoltiamo un minuto di un pezzo che davvero non è nelle nostre corde.
- Ogni volta che pensi “questo non fa per me”, “io non sono tipo da”, “figuriamoci se”, “mai nella vita”: quello è il momento di provare a farlo o almeno di provare a pensare di farlo (e anche questo punto forse merita un approfondimento a sé).
- Prova a seguire anche persone che non conosci, solo perché ti piace quello che scrivono, fotografano, pensano, oppure il come scrivono, fotografano, pensano, anche se non sei d’accordo.
Questo scompiglierà i capelli all’algoritmo, ai tuoi amici e anche a te. Fare ogni giorno cose diverse mantiene il cervello giovane, lo sapevi? E soprattutto: le bolle ti fanno male quando non le vedi, se esci ogni giorno a fare un giro fuori sarai molto contento di avere un rifugio sicuro dove tornare.