Tone of voice: l’importanza di parlare “la lingua” di chi ascolta
Da quando TikTok imperversa tra le piattaforme social più utilizzate, vedere alcuni professionisti e VIP esibirsi in improbabili trend e coreografie per attirare l’attenzione del pubblico è tutt’altro che raro.
In molti casi questo genera solo un po’ di innocua ironia, ma spesso il limite del ridicolo viene abbondantemente superato e questo avviene spesso per l’incapacità di comprendere che adeguarsi al media e alla sua audience è una strategia che paga soltanto se ciò che facciamo su quei media è credibile e in linea con ciò che siamo davvero.
Di “tone of voice” si parla diffusamente ormai da anni, prima ancora che i social stravolgessero il linguaggio e la comunicazione, ma questo aspetto assume oggi un’importanza più che cruciale. Per parlare correttamente agli altri è infatti indispensabile mettersi nei loro panni, comprendere a fondo i loro desideri, esigenze e aspettative. Non è una questione di farsi capire, ma di arrivare davvero, di “fare centro”, di essere rilevanti, memorabili e adeguati alla piattaforma che stiamo utilizzando.
Del resto è del tutto ovvio che nessuno si esprima e interagisca allo stesso modo al bar e in un convegno, in casa e in presenza di estranei, sul lavoro e in vacanza, ma è fondamentale che queste differenze siano gestite nel modo corretto quando a parlare, esprimersi o scrivere in Rete è un’azienda, un professionista o un personaggio pubblico.
Quali sono le priorità di cui tenere conto, in relazione al tone of voice sulle piattaforme del web? Fin dove può spingersi un’azienda o un professionista per essere efficace e non rischiare il ridicolo?
Da quando esiste il Web e le sue piattaforme social, ovvero da non più di un quarto di secolo, persone e aziende sono gradualmente sbarcate su questi strumenti per molti motivi e con differenti ambizioni e obiettivi, ma con un approccio che, in moltissimi casi, consiste nel guardare cosa fanno gli altri e cosa ha successo e tentare di accodarsi, replicando ciò che sembra funzionare.
Questo atteggiamento è perdente in partenza, perché la Rete è certamente in grado di omologare e di standardizzare, ma la sua vera forza è quella di mettere in luce le differenze e di esaltare le peculiarità di ciascuno.
Se questo approccio ha fatto vittime illustri sin dagli esordi delle piattaforme più datate, il vero punto di svolta è arrivato con i nuovi social media, da Snapchat a TikTok, le cui dinamiche spingono molti a confrontarsi con trend, coreografie e altre modalità espressive, che spesso sono del tutto inadatte alle caratteristiche di chi vi si cimenta.
Queste nuove piattaforme, oggi popolate anche da adulti e aziende, furono inizialmente pensate per ragazzini e adolescenti. Musical.ly, da cui trae origine TikTok, è stata per tutta la sua durata il regno degli under, che giustamente usavano quel social per giocare tra loro, ballare e per relazionarsi con attività e dinamiche tipiche della loro età ed epoca.
Chi oggi sbarca su questi canali sa che per provare ad avere successo deve necessariamente andare verso quelle tipologie di contenuti, ma spesso si imbatte in miseri fallimenti.
Il motivo è semplice: ognuno di noi, persona o azienda che sia, è esattamente ciò che è. Ovviamente esistono persone e aziende che, a dispetto dell’età o del ruolo, sono perfettamente a loro agio in quelle dinamiche, risultando credibili e generando a loro volta nuove tendenze e nuova emulazione, ma se ciò avviene è perché il loro naturale e consueto tone of voice, inteso sia come modalità che come forma di comunicazione, non è poi troppo lontano da quelle forme di espressione.
Per tutti gli altri tentare qualcosa di tanto diverso è un azzardo che porterà quasi sicuramente ad un buco nell’acqua. Ecco perché su queste piattaforme la presenza di figure di collegamento tra le aziende e gli utenti è più che frequente. Ingaggiare creator e influencer su TikTok & Co. è pressoché l’unica via possibile per le aziende e i professionisti che vogliono raggiungere il target di questi social senza rischiare scivoloni e imbarazzi.
Una cosa tuttavia è certa: se è vero che forzare il tone of voice e le modalità di interazione su qualsiasi piattaforma è un rischio, parlare la lingua di chi vorremmo far interagire con noi è indispensabile. Sui social è del tutto inutile postare markettone o spot televisivi, a meno che non si tratti di vecchie campagne, rispolverate per i nostalgici o per far sorridere i più giovani, così come non c’è spazio per tutto ciò che non sia vivace, brioso, improntato all’ironia e al coinvolgimento diretto del pubblico, che diventa co-creatore e co-protagonista.
Per far questo le collaborazioni con gli utenti diventano preziose, così come i contest e tutto ciò che sfrutta gli UGC (User Generated Content) per approcciare gli utenti e generare coinvolgimento e interazione. Esplorare queste opportunità è dunque il modo migliore per avvicinarsi a piattaforme in cui comunicare non basta più, ma occorre mettersi in gioco, essere davvero parte di una community che vive di mode, di tendenze e di momenti che vanno colti “qui e ora” e la cui pianificazione non può rubare tempo prezioso alla dimensione fugace di cui vivono queste piattaforme.