Sport, energia, traguardi da raggiungere. E grandi campioni che ci ispirano ad essere migliori
Se scrivo libri, faccio conferenze, mi occupo di evoluzione e innovazione, è grazie allo sport. Sì, sto proprio dicendo che se non avessi fatto sport e non avessi imparato dallo sport forse non avrei fatto le cose che faccio – che se proprio dobbiamo etichettarle potremmo parlare di filosofia, antropologia o altre cose così – e certamente non le avrei fatte nel modo in cui le faccio. Quando ero adolescente, venni folgorato da una frase di Friedrich Nietzsche, che diceva «posso credere solo a quei pensieri che sono una festa anche per i muscoli». Per me, che adoravo tanto i libri e la scrittura quanto la dimensione fisica e adrenalinica dello sport, quella divenne la definitiva linea di condotta. Se anche Nietzsche mi confermava quello che istintivamente sentivo, non avrei mai più potuto separare pensiero e muscoli.
È così che anche quando ho smesso di buttare la palla in un canestro o in una porta, lo sport non l’ho affatto messo in soffitta ma ho proiettato l’attitudine che avevo imparato sui campi di gioco nella mia intera esistenza quotidiana, nella scrittura, nel lavoro, nella crescita di mio figlio, nella mia relazione con il mondo. Conosco non pochi altri che fanno i manager, gli architetti, gli scrittori, gli scienziati, e così via, e che raccontano di dovere allo sport quella marcia in più che manifestano nelle cose che fanno. Perché nello sport c’è molto di più che non soltanto lo sport.
Prendiamo i risultati. Non voglio dire che i risultati siano l’unica unità di misura, ma certamente sono un’unità di misura: perché quando perdi una volta può essere colpa dell’arbitro e un’altra delle circostanze avverse, ma presto capisci che dare la colpa agli altri non è mai una buona idea. Lo sport ti focalizza sui tuoi margini di miglioramento, sul lavoro su te stesso, sulla necessità di prenderti le tue responsabilità: un’attitudine di cui c’è un assoluto bisogno nell’intera nostra esistenza.
Nello sport impari che la vera, sana competizione non è quella dei trucchi, delle pugnalate dietro la schiena: è faccia a faccia, è corpo a corpo. E l’avversario sì, lo vuoi battere, ma innanzitutto è lo specchio per mettere a fuoco te stesso.
Nello sport impari a scegliere e ad agire in pochi istanti, sotto pressione: perché sono tutti più o meno bravi a funzionare quando il vento soffia a favore, ma è quando la palla ti scotta fra le mani che vieni davvero messo alla prova, ed è così che lo sport ti allena ad affrontare con carattere le situazioni dell’intera esistenza. Perché l’intelligenza è certamente intelligente, ma l’intelligenza superiore è quella che sa essere eccitante, energetica, vitale.
Queste cose, e tante altre, me lo sono sentite appassionatamente confermare in un colloquio DI mezz’ora, lui e io da soli, con quello che è senza discussioni il più grande atleta di tutti i tempi: e lui, Michael Jordan, non perde mai occasione di evidenziare che il grande talento conta poco se non lo nutri con il senso di responsabilità, con l’etica del lavoro, con una certa durezza con se stessi. Credetemi se vi dico che lui – il più grande di tutti, ripeto – mi ha fatto quasi più impressione come essere umano che come giocatore.
Andate a cercare il finale del suo discorso per l’ingresso nella Hall of Fame del basket: lì MJ dice «i limiti, come le paure, sono spesso soltanto illusioni», e ditemi voi se questa non è una visione filosofica e vitale assolutamente superiore. Queste cose valgono naturalmente se fai o hai fatto sport, ma valgono anche se lo sport lo guardi e impari a guardarlo non soltanto da spettatore: perché ovviamente nessuno può essere come i più grandi campioni ma, prendendoli a modello, a unità di misura non tanto per i loro gesti atletici ma innanzitutto per la loro attitudine, si può essere i più grandi campioni della propria esistenza. Essere i Michael Jordan di se stessi, questa è la vera, grande partita.