Sei vittima dell’eccesso di fiducia? Ecco come scoprirlo
Qualche anno fa Umberto Eco sintetizzò argutamente il potere del web e dei social nella diffusione di false conoscenze: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli. Prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”. Scorrendo le bacheche di Twitter o Facebook ci si imbatte spesso in post su qualsiasi argomento, che alimentano ampi dibattiti, come testimoniato dai numerosi commenti che li arricchiscono. Mi chiedo sempre se chi pubblica e chi commenta abbia una reale ed approfondita conoscenza di quanto sostiene, partendo dal fatto che tende a presentarsi (più o meno esplicitamente) come esperto di quella specifica tematica. Con tutta evidenza la risposta a tale quesito risulta essere negativa. Piuttosto, assistiamo spesso al fenomeno dell’eccesso di fiducia, un tipico bias cognitivo che, nella sua formalizzazione, conosciamo da oltre venti anni.
Eccesso di fiducia: cos’è
Il 19 aprile del 1995 a Pittsburgh, in Pennsylvania, un uomo di mezza età, McArthur Wheeler, rapinò due banche nella stessa giornata; dopo poche ore, fu catturato. Avendo agito in pieno giorno e a volto scoperto (cospargendosi il viso solo con il succo di limone), furono molti i testimoni che ne facilitarono l’arresto. Si trattò effettivamente di un gesto sconsiderato, determinato da un eccesso di fiducia nelle proprie abilità. Quell’episodio incuriosì due psicologi statunitensi, David Dunning e Justin Kruger, che nel 1999 pubblicarono un piccolo studio sulla fiducia in sé stessi. Riuscirono a dimostrare che in molte situazioni coloro che non sono in grado di fare qualcosa ignorano questa propria incapacità. I due giunsero ad elaborare una teoria di cui osserviamo frequentemente le conseguenze pratiche: maggiore è l’incompetenza riguardo a qualcosa, più si è convinti di saperne più di altri. Questo atteggiamento deriva dall’eccesso di fiducia nelle nostre valutazioni e nei nostri giudizi. In sostanza, si è convinti di possedere informazioni più complete, precise ed accurate di quanto in realtà siano. Di fatto, un incompetente non è in grado di valutare l’abilità altrui, proprio perché gli mancano le capacità per farlo. La cosa singolare è che quando ci mancano le competenze, invece di assumere un atteggiamento dubbioso e orientato ad approfondire, si trabocca sicurezza. Viene così a crearsi un circolo vizioso di ignoranza e arroganza, che può spezzarsi soltanto con lo studio, l’analisi e l’approfondimento. Nei primi studi di Dunning e Kruger coloro che avevano ottenuto i punteggi più bassi nei test di logica, grammatica e senso dell’umorismo avevano le opinioni più ottimistiche circa le proprie capacità. Da ciò emergeva che meno si è competenti in un determinato ambito, più si è portati a sovrastimare la propria effettiva abilità. Si tratta di una tendenza importante e preoccupante al contempo, perché compromette la consapevolezza di sé e conduce facilmente all’errore in ogni contesto in cui si esprime.
La “bolla del principiante”
Certamente, non è sempre facile riconoscere la propria incompetenza ed ammettere le proprie debolezze, soprattutto quando vogliamo trasmettere agli altri un’immagine positiva e radiosa di noi stessi, sia nel contesto professionale che in quello personale. Se è vero che la fragilità del nostro ego gioca un ruolo rilevante in questo processo, esiste una forza meno evidente che non ci consente di avere una visione chiara e nitida delle nostre attitudini. Come sostiene Adam Grant nel suo recente saggio Pensaci ancora. Il potere di sapere ciò che non sai, “l’assenza di competenze può renderci ciechi di fronte alla nostra stessa incompetenza. […] Quando ci mancano le conoscenze e le capacità per raggiungere l’eccellenza, a volte ci mancano anche le conoscenze e le capacità per valutare l’eccellenza”.
Spesso tendiamo a sopravvalutarci rispetto a certe capacità che desideriamo avere; tuttavia, siamo portati a sottovalutarci in tutti quei casi in cui senza alcuna difficoltà è possibile riconoscere che ci manca l’esperienza necessaria. Secondo Grant, “è quando passiamo dal livello di principianti a quello di dilettanti che tendiamo ad acquisire una sicurezza eccessiva. Avere un’infarinatura su una qualsiasi materia può rivelarsi pericoloso. In troppi campi della nostra vita non conseguiamo mai un grado di competenza sufficiente a mettere in discussione le nostre opinioni o a scoprire ciò che ancora non sappiamo. Raccogliamo appena le informazioni necessarie a farci sentire sicuri di poter esprimere pareri e giudizi”.
Con l’acquisizione di esperienza in un particolare ambito, per quanto possa essere modesta e limitata, cominciamo a perdere umiltà. I progressi ci inorgogliscono, promuovendo una sensazione di padronanza e competenza che, tuttavia, non ha alcun fondamento reale. L’eccesso di sicurezza che ne deriva ci impedisce di dubitare di ciò che sappiamo e di trovare stimolo nell’approfondire ciò che ancora non sappiamo. Con le parole di Adam Grant, “rimaniamo intrappolati nella bolla del principiante, una bolla di presupposti errati all’interno della quale ignoriamo la nostra stessa ignoranza”.
Perché coltivare l’umiltà può essere una buona soluzione
Per evitare la trappola di Dunning-Kruger possiamo affidarci ad una qualità troppo spesso fraintesa: l’umiltà. La parola umiltà deriva dal latino humus, ossia la terra fertile. Da questo punto di vista, l’umiltà rappresenta il terreno più idoneo per far crescere la conoscenza ed acquisire nuove competenze. Senza umiltà, difficilmente si cresce e si migliora. Se l’arroganza porta ad arroccarsi in maniera supponente sulle proprie posizioni, l’umiltà spinge a guardare oltre, a studiare, a cercare nuove informazioni. Con il suo collegamento alla terra, il concetto di umiltà tende a ricordarci il nostro radicamento con ciò che è terreno (contrapposto al divino), ossia il riconoscimento della nostra imperfezione e fallibilità.
L’umiltà rappresenta l’atteggiamento più efficace per trovare il punto di equilibrio fra la valorizzazione di se stessi e il riconoscimento dei propri limiti. Ci lasciamo accecare dall’arroganza quando siamo completamente sicuri dei nostri punti di forza, delle nostre conoscenze, delle nostre modalità operative o comportamentali. Di converso, è il dubbio a paralizzarci quando manchiamo di convinzione e determinazione, mostrando la tendenza a sottostimare le nostre competenze e le nostre caratteristiche personali. In alternativa, possiamo porci l’obiettivo di una umiltà sicura di sé, propria di chi nutre fiducia nelle proprie capacità, pur sapendo di poter sbagliare, e quindi di poter rivedere le proprie convinzioni.
Come superare l’eccesso di fiducia? L’importanza del dubbio
Una giusta dose di dubbio è necessaria per analizzare e riesaminare il bagaglio di conoscenze che consideriamo ormai acquisite. Tuttavia, il nostro rapporto con il dubbio sembra essere ambivalente: a volte lo apprezziamo, proprio perché ci costringe ad una riflessione più approfondita, che può condurci ad una scelta migliore; più spesso lo temiamo, perché ci fa precipitare nell’indecisione. Se la certezza è statica, granitica, immobile, il dubbio costringe a riesaminare ciò che si sa (o si presume di sapere), ci obbliga a considerare da altre prospettive una situazione, ci stimola ad apprendere. “Gli imbecilli sono sicuri di sé, mentre le persone intelligenti sono piene di dubbi” sosteneva il filosofo Bertrand Russell. Se ben impiegato, il dubbio ci può proteggere dall’effetto Dunning-Kruger, costringendoci a non accontentarci di ciò che sappiamo e a non smettere di approfondire, con curiosità e sincera apertura anche nei confronti di idee che contrastano le nostre più solide certezze. Potremo così combattere quell’insidioso eccesso di fiducia, che è sempre pronto a giocarci qualche brutto scherzo.