Sei uno “yesbutter” o un “whynotter”?
Potremmo dividere le persone in due categorie: quelle che hanno la tendenza a utilizzare l’espressione “sì, ma” e quelle che invece approcciano la vita con un “perché no?”.
Sono i cosiddetti “yesbutters” o “whynotters” e capire da che parte stai potrebbe aiutarti a cambiare prospettiva e a migliorare radicalmente la tua vita.
Cerchiamo di capire meglio la differenza tra queste due tipologie di persone. Hai presente quando un amico ti chiede un consiglio, e per quanto tu ti sforzi di trovare una soluzione valida per lui, l’unica risposta che riesci a ottenere inizia sempre con un “sì, ma…”? Ad esempio, state parlando di lavoro e il tuo amico ti dice che non sa come risolvere un problema con il suo capo, che lo mette sempre in difficoltà davanti ai colleghi. Ai vostri più o meno numerosi tentativi di trovare una via d’uscita potreste ricevere in cambio dei tiepidi “sì, ma non lo farà mai”, “sì, ma lui non mi cambierebbe atteggiamento per me”, “sì, ma è troppo difficile”… Ci siamo capito, giusto?
Questo è un tipico esempio di yesbutter: una persona che in realtà non sta cercando una soluzione, ma solo l’occasione per lamentarsi e mostrare che i suoi problemi sono così grandi che qualunque suggerimento, da parte di chiunque, non potrebbe generare nessun cambiamento positivo.
Pericolosità degli yesbutters in azienda
I soggetti yesbutters sono particolarmente “pericolosi” in azienda, perché in questo caso non si limitano a rimanere ancorati al loro pessimismo cosmico e al loro desiderio di lamentale, ma influenzano negativamente il team di lavoro e la capacità di crescita di tutta l’impresa.
Questo accade soprattutto se si tratta di persone che hanno un ruolo manageriale o ricoprono posizioni di rilievo in azienda. Sono persone sicure di avere tutte le risposte, e altrettanto certe che qualsiasi alternativa alla loro visione non sia percorribile, per tutta una serie di motivi.
Usano frasi come “sì, ma da noi è diverso…”, “sì, ma si è sempre fatto in un altro modo…”, “sì, ma vallo a spiegare al CdA…”, “sì, ma ci stai chiedendo un cambiamento troppo radicale…”.
Il risultato è che con il loro muro di gomma non permettono a niente e nessuno di contaminare positivamente il clima aziendale e non permettono la crescita né delle persone né del business.
Sono soggetti resistenti al cambiamento, che adottano una forma di pensiero negativo quasi come fosse un intercalare, e così facendo si predispongono a una chiusura rispetto alle nuove idee e alle trasformazioni.
Trasformare gli yesbutters in whynotters
A questo punto c’è da chiedersi se è possibile trasformare gli yesbutters in whynotters, In soggetti, cioè, che approcciano le sfide con positività e che sono sempre pronti a cogliere nuove occasioni e valutare opzioni diverse utilizzando la frase “perché no?”.
Cambiare mentalità non è semplice, ma sicuramente ci si può allenare a farlo. E un aiuto arriva da due discipline che hanno molto in comune.
- Il Design Thinking ci insegna ad avere un approccio innovativo ai problemi e a sviluppare la soluzione migliore per ciascuno di essi. È un approccio che parte dallo studio e dall’osservazione del contesto per intercettare il fulcro del problema e poi disegnare soluzioni possibili generando il maggior numero di idee possibile. Alcuni studi hanno dimostrato che la quantità delle idee prodotte è proporzionale alla loro qualità; questo significa che più ci concentriamo per trovare alternative, più queste opzioni saranno valide. Il processo prosegue poi col selezionare le idee e creare dei prototipi da testare per scegliere quelli che risultano essere i migliori e che portano alla soluzione più efficace. Il focus è sulla creatività e sul coinvolgimento delle persone, che riescono a portare al tavolo di discussione prospettive diverse che arricchiscono la visione e facilitano l’innovazione. Il tema è non escludere nulla a priori e procedere per errori e aggiustamenti, fino ad arrivare alla soluzione ottimale.
- L’Intelligenza Emotiva ci permette invece di sviluppare tutta una serie di competenze che influiscono sul nostro modo di vedere e risolvere i problemi, facilitando la nostra capacità di prendere decisioni. Una di queste competenze ha a che fare con l’esercitare l’ottimismo, che non significa vedere il positivo in qualunque situazione, anche la più disperata, ma assumere un atteggiamento proattivo. L’ottimismo ci permette di vedere più opzioni di quelle che pensavamo ci fossero, e di essere aperti alle alternative. Genera fiducia nel fatto che riusciremo a cambiare in meglio, e che esista una soluzione a ciascun problema. Dobbiamo solo impegnarci a cercarla.
Quello che distingue i whynotters dagli yesbutters non è solo l’atteggiamento, che potremmo semplificare in “ottimistico” verso “pessimistico”. È soprattutto la capacità di entrare in azione; i primi, infatti, preferiscono agire, cercano di vedere le possibilità e di tentare di realizzare. Mentre i secondi rimangono immobili e alimentano la lamentela senza fare nulla.
Inoltre i whynotters vivono in modo più intenzionale: sai chi sono e cosa vogliono, e sono motivati a entrare in azione per ottenerlo. Hanno chiaro il loro senso di scopo e le loro scelte li traghettano in quella direzione.
Non si è innovativi per predisposizione genetica, ma il desiderio di cogliere nuove opportunità, sperimentare soluzioni differenti e trasformare ciò che si è immaginato in un progetto reale, è sicuramente qualcosa che si può imparare.