Scrivere per ricordare e per ragionare meglio
In un’era in cui il linguaggio è sempre più liquido e condizionato dai mezzi attraverso i quali si diffonde, generando in continuazione nuove forme e nuove varianti, la scrittura è sempre più al centro delle attività umane, che attraverso essa si progettano, si costruiscono e si raccontano.
Ciò che scriviamo resta: sul marmo, sul legno, sul metallo, sulla carta (o in un file), ma soprattutto nella mente ed è lì che ci offre le opportunità migliori, se sappiamo come imprimerlo in modo efficace.
Un tempo era più semplice relazionarsi, perché la realtà era molto meno complessa, c’era meno fretta – e meno urgenza – e molte meno informazioni affollavano il cervello delle persone. Oggi parlare a braccio e improvvisare è più difficile e rischioso, soprattutto se occorre farlo per lavoro o nello studio. Se sui social media parlassimo, anziché scrivere, il livello dello scontro tra le persone sarebbe ancora più estremo di quanto non sia già, perché scrivere ci costringe a scegliere le parole, a valutare le frasi e a soppesare ciò che pubblichiamo, se abbiamo un briciolo di buon senso. Farlo è un grande esercizio di raffinazione del pensiero ed è qualcosa di cui non dobbiamo mai privarci.
Ma come possiamo davvero migliorare scrivendo i nostri pensieri?
Durante tutto il corso delle nostre vite siamo costantemente bombardati da informazioni di ogni genere. Le ascoltiamo, le leggiamo, ci imbattiamo in esse nei modi più disparati e soltanto in parte lo facciamo in modo volontario. Anche quando siamo completamente da soli e in uno spazio aperto, benché non ci sia nessun cartello o testo scritto né voci umane, ben difficilmente siamo al cospetto del silenzio assoluto, perché ai nostri occhi arrivano comunque immagini, ai nostri orecchi suoni, odori al nostro olfatto e molti altri segnali ai nostri sensi. Se poi dovessimo estraniarci da tutto questo, cosa che capita spesso, nella nostra mente inizierebbero a rimbalzare idee, pensieri, ricordi e tutto questo fluirebbe comunque sotto forma di parole, di frasi che si rincorrono e si sovrappongono.
Che in tutto questo marasma si riesca a formulare frasi e pensieri di senso compiuto sembra quasi un miracolo, ma per andare oltre e mettere davvero ordine in questo magma inarrestabile c’è una sola strada: scrivere, strutturare, organizzare.
Non importa che lavoro facciamo e non c’è bisogno di avere ambizioni letterarie per coltivare la scrittura, che più di ogni altro esercizio ci consente di mettere in luce, di analizzare, fare chiarezza e affrontare meglio qualsiasi necessità e sfida.
Scrivere è dunque un metodo. Una strategia che ci aiuta a fare meglio ciò che dobbiamo o che vogliamo. Se la nostra mente è una sorgente da cui sgorga costantemente pensiero, il solo modo che abbiamo per “imbottigliarlo” è scrivere, organizzando quel flusso nei modi che meglio si prestano ai nostri scopi e che più si adattano al nostro modo di essere e alla nostra forma mentale.
Gli strumenti di cui oggi disponiamo rendono questo compito molto più semplice e veloce. Con uno smartphone e un buon servizio in cloud possiamo addirittura dettare i nostri pensieri e i nostri appunti, archiviandoli in una struttura a cartelle che possiamo suddividere in funzione delle diverse tematiche, dei nostri obiettivi e task, di ciò che stiamo progettando e del lavoro che dobbiamo svolgere. Non esiste fare senza progettare e non esiste progettare senza ideare, infatti. Le cose fatte bene sono quelle che provengono da una filiera ordinata e disciplinata. La capacità di improvvisare e di affrontare gli imprevisti è senza dubbio una grande risorsa, ma chi vive in perenne emergenza o alla giornata difficilmente riesce ad ottenere risultati e spesso si limita soltanto a sbarcare il lunario.
Scrivere aiuta a mettere ordine, dunque, ma è anche un modo egregio per allenare la mente a ragionare, a ricordare, ad espandere i propri orizzonti attraverso le parole e i loro significati e ad esprimere tutto questo in modo sensato e comprensibile. Chi è abituato a scrivere sa che l’approccio che quotidianamente usiamo nelle nostre chat non basta per fare altro che interagire in modo veloce e superficiale. Le emoticon nacquero appunto per questo: aiutare le persone a far capire cosa stanno comunicando con poche parole, spesso senza punteggiatura e così come viene, rischiando incomprensioni e malintesi. Quando scriviamo per noi stessi, per ricordare e per ordinare, o ancor più per prepararci ad una riunione o ad un discorso o intervento che dobbiamo fare, la scelta delle parole è fondamentale e la costruzione delle frasi non può limitarsi all’essenziale. Chi scrive abitualmente sa bene quanto sia frustrante leggere ciò che si è scritto giorni, mesi o anni prima e non riuscire a comprendere cosa si volesse intendere o perché fosse stato scritto. O, ancora peggio, non riuscire a trasformare quel testo in un buon discorso o una relazione efficace. In una società in cui comprendersi è vitale e sentirsi incompresi può facilmente diventare una patologia, leggere ciò che si è scritto in precedenza e non capire è deleterio. Molto meno lo è accorgersi che nel tempo abbiamo migliorato il nostro modo di scrivere e quel che leggiamo dal nostro passato ci sembra immaturo, semplicistico e ci fa tenerezza.
Scrivere è fondamentalmente questo: crescere, scoprire sé stessi giorno dopo giorno, esplorare il pensiero e il modo in cui esso fluisce, trasformandolo in parola scritta e in qualcosa che può essere condiviso con gli altri e da loro compreso e apprezzato.
Quando ci troviamo a dover esporre un’idea, un progetto, oppure a sostenere una tesi sul lavoro o nello studio, arrivare impreparati significa prima di ogni altra cosa non aver trasformato le competenze o gli argomenti che vogliamo trasferire agli altri in un testo scritto; non per impararlo a memoria, ma per esserne completamente consapevoli e avere tutti gli elementi che ci servono per parlarne in modo efficace.