Rivoluzione big data: dall’azienda allo shopping, come cambia la nostra vita
Nei film americani i poliziotti sono perennemente in auto, con grandi mug di caffè e lo sguardo allenato a individuare sospetti al di là del parabrezza. Bene, questa immagine potrebbe presto essere sostituita dalla tecnologia. Le forze dell’ordine di Los Angeles sono già in grado di prevedere i crimini prima che vengano commessi con una localizzazione approssimata a 50 metri quadrati. Non è la fantascienza del film Minority Report, ma la realtà di Predpol, ovvero Predictive Policing: uno strumento di analisi dei big data che, basandosi sulle serie storiche dei crimini commessi, è in grado di prevederli. I risultati? Reati giù del 13% a soli quattro mesi dall’introduzione del sistema, a fronte di un aumento dello 0,4% nelle zone in cui Predpol non era attivo.
I big data stanno già rivoluzionando le nostre vite, ma spesso si abusa del termine, tanto che Marco Russo, un noto consulente di business intelligence, è piuttosto tranchant: «In Italia i big data non esistono». Per fare un esempio, non sono big data i sette miliardi di operazioni bancarie effettuate ogni anno nel nostro paese, ma solo gli zettabyte (cioè miliardi di terabyte) dei soliti Amazon, Facebook e Google.
In effetti tre sono le caratteristiche dei big data: volume (elevatissimo), velocità di generazione (in tempo reale) e, soprattutto, varietà. La complessità infatti risiede principalmente nella incoerenza delle diverse tipologie di dati che possono mescolare numeri, video, foto rendendo estremamente complessa la loro analisi. La sfida di mettere insieme tipologie di informazioni così differenti è estremamente feconda. I sistemi di digital signage sono già in grado di adattare i messaggi a seconda delle persone (età, genere, etnia, espressione) che passano davanti al monitor tanto che Google sta testando dei cartelloni che cambiano pubblicità in funzione di migliaia di dati raccolti in tempo reale, dal meteo al traffico agli avvenimenti in zona.
Oltre alle applicazioni pratiche, con il loro potere di disruption della nostra quotidianità di consumatori, i big data stanno portando un grande cambiamento nel management e nel modo in cui facciamo business come aziende e professionisti. Un interessante webinar della Stanford University ci guida attraverso queste sfide e, soprattutto, fa riflettere su come la grandissima disponibilità di dati non renda necessariamente più semplici le nostre decisioni ma, al contrario, richieda una capacità tipicamente “umanistica” di porre ai dati le giuste domande.
Movenbank è un nuovo modello bancario nel quale prodotti e condizioni economiche sono legate all’analisi del comportamento degli utenti, utilizzando i big data e degli psicologi comportamentali che servono per identificare differenti “personalità finanziarie” a cui proporre servizi coerenti.
Come sostiene il giornalista Luca DeBiase: «I big data consentono di sviluppare una nuova matematica che fa emergere schemi e pattern che in altri modi non potrebbero venire fuori. Si tratta di una ricchezza straordinaria per la conoscenza. Ne possono emergere nuovi mestieri, nuove imprese, nuove scoperte. Ma il senso critico, l’approccio scientifico, il rispetto per la qualità dei dati, resteranno una condizione indispensabile per ottenere conoscenza dotata di senso».