Se non riesci a trovare la risposta giusta, è tempo di riformulare la domanda
Che la nostra presa di decisione non sia perfetta non è un mistero. È un tema che abbiamo ampiamente approfondito in un articolo precedente: l’uomo è molto lontano dall’essere il decisore razionale che crede. Questa incapacità di giudizio e di decisione si riflette nella nostra vita personale e nelle nostre organizzazioni causando anche danni abbastanza ingenti e impedendoci di essere dei buoni risolutori di problemi.
Nella medesima direzione vanno le riflessioni di Paul Watzlawick – uno dei più grandi studiosi della comunicazione del secolo scorso, autore di Pragmatica della Comunicazione Umana – che ha dedicato al tema del problem solving strategico un volume davvero molto interessante dal titolo “Change”.
Il volume si apre proprio con un racconto che chiarisce molto bene i termini in gioco.
La duchessa del Tirolo, Margareta Maultasch, fa accerchiare nel 1334 il castello di Hochosterwitz, situato su una rupe scoscesa e inespugnabile a un attacco diretto. L’obiettivo era quello di fiaccare per fame gli abitanti e costringerli alla resa. E così fu: la situazione si fece critica e tutto quello che rimaneva agli assediati non era che un bue e qualche sacca d’orzo; tuttavia anche per le truppe della duchessa la situazione – dopo giorni di lotte e di assedio – non era delle migliori. Il capitano del castello prese allora una decisione ritenuta folle: fece macellare l’ultimo bue rimasto e ne riempi la cavità addominale con l’orzo, ordinò poi di scaraventare il bue contro le truppe nemiche giù dai bastioni della fortezza. Nel vedere un simile spreco di risorse la duchessa decise per la ritirata, convinta che gli assediati avessero ancora un enorme riserva di cibo.
Una soluzione totalmente controintuitiva che però ha portato a una riconfigurazione del problema e alla sua immediata risoluzione.
In psicologia cognitiva questo meccanismo si chiama insight: una vera e propria illuminazione che ci permette di ristrutturare la situazione nella quale si è creato il problema e di rispondere di conseguenza. Grazie a questo tipo di esperienza siamo in grado di leggere la situazione sotto una luce completamente nuova che ci permette di stabilire nuove relazioni tra gli elementi in gioco. In altri termini: ci consente di uscire da una fissità funzionale che ci porta a considerare le cose solo – ed esclusivamente – per quello che sono.
Lo Zen affonda le radici di questa riflessione nei koan che ne contengono i medesimi principi: un esempio?
Un sacerdote incontra un maestro zen e – provando a metterlo in difficoltà – gli domanda: “Senza parole e senza silenzio, sai dirmi che cosa sia la realtà”? Di tutta risposta il maestro gli sferra un pugno in faccia.
Semplice, immediata e diretta: una soluzione che spiazza, lascia senza parole e – molto spesso – è quella, per quanto paradossale, più efficace per raggiungere l’obiettivo.
Questi esempi ci aiutano a comprendere come – molto spesso – non siano le risposte ad essere sbagliate per la soluzione dei nostri problemi, ma sia la domanda a essere posta nel modo sbagliato, non mettendo a fuoco correttamente i termini in gioco e la reale entità del problema. Giorgio Nardone, psicoterapeuta e autore prolifico, oltreché allievo della scuola di Palo Alto di Watzlawick, tratta questi temi in numerosi dei suoi libri mostrando, con successo, come – molto spesso – soluzioni paradossali sono in grado di cambiare la nostra prospettiva sul problema aiutandoci a uscire dalla situazione di empasse.
Un caso? Un colpo di fortuna? Difficile dirlo. Quello che è certo è che questi meccanismi di ragionamento e di pensiero funzionano molto bene anche se non sono sempre applicabili perché quello che ci manca è la capacità di prendere distanza dalla situazione e di considerarla da un punto di vista, per quanto antitetico a quello attuale, completamente nuovo.
La capacità di mettere in crisi il sistema logico che regge il problema non è né innata né nasce in modo spontaneo ma va acquisita grazie ad aumento di consapevolezza e alla forza di sapersi fare le domande giuste, per quanto scomode esse siano.