Perché ci ricordiamo benissimo dei favori fatti, meno di quelli ricevuti
L’arte della decisione è competenza complessa, sempre più decisiva in un contesto fast & furious dove le relazioni tra colleghi e collaboratori diventano più fluide e meno strutturate. Persuadere gli altri a fare qualcosa è difficile, ma può rivelarsi un asset fondamentale in grado di farvi ottenere risultati veloci e, insieme ad essi, un’atmosfera di lavoro più rilassata.
In questo contesto, è interessante riflettere su quello che definirei l’algoritmo dei favori.
Perdonate l’espressione un po’ forzata, ma il punto è proprio di cercare di scomporre un gesto naturale in una sequenza di istruzioni pronte all’uso. I favori sono azioni delicate che, proprio per la loro natura, coinvolgono il piano professionale ma anche, e soprattutto, quello delle relazioni umane in senso più lato. Chiaro, dunque, che si debba stare attenti a come esse funzionano.
E come funzionano, dunque?
Un favore è come il pane che diventa raffermo in pochi giorni? Oppure è più come una bottiglia di vino d’annata, che guadagna valore col tempo?
La questione è assai interessante, soprattutto con riferimento a quell’atmosfera citata all’inizio.
Pensate ai contesti lavorativi odierni: spazi di coworking, aziende che adottano in massa lo smart working. Un design relazionale efficace consente di cementare il rapporto tra collaboratori le cui occasioni di incontro si fanno sempre più sporadiche e per cui, dunque, è importante agire sulla forza dei legami.
La questione è stata analizzata, empiricamente, attraverso un esperimento condotto da un ricercatore, Francis Flynn, su un campione di dipendenti di una compagnia aerea a stelle e strisce.
A metà delle persone intervistate, è stato somministrato un questionario in cui veniva chiesto di ricordare un favore fatto a un collega, unitamente al valore emotivo associato a questo gesto; all’altra metà, viceversa, si chiedeva di fare la stessa valutazione, ma su una cortesia ricevuta e non data.
I risultati sono interessanti e non sorprendono: tendiamo a dare un grande peso ai favori, sia quando li facciamo sia quando li riceviamo. Nel primo caso, tuttavia, il loro valore emotivo cresce col tempo, mentre nel secondo la tendenza è quella di sminuire.
Come sempre, è in atto un meccanismo per cui siamo felici di sottolineare le nostre qualità, esaltandole e magari amplificandole al di là del dovuto. Se però la gentilezza ci viene fatta da qualcun altro, siamo abbastanza pronti a dimenticarne gli effetti.
La percezione di qualcosa di buono fatto per gli altri si accresce nel ricordo mentre tendiamo a dimenticarci un favore ricevuto.
E quindi, che fare?
Diciamo che potrebbe non essere una buona strategia presentarsi da un collega o collaboratore con la richiesta: “Ok, ti ricordi quando nel tardo novecento ti feci quel favore? È arrivato il momento di ricambiare, caro mio”. Se volete uno schiaffone o, quel che è peggio, rovinare per sempre un rapporto di fiducia, questa è la strada che porta direttamente all’obiettivo.
Posto che nel design dei comportamenti è sempre difficile avere la ricetta certa, dunque, innanzitutto è bene entrare in un’ottica di obbligazioni sociali continue: fare e ricevere favori deve diventare un’abitudine consolidata. Quando, poi, avete bisogno che il favore vi venga fatto, potrebbe essere più efficace una frase del tipo:
“Ti è servita la mail che ho scritto la settimana scorsa per chiedere la revisione del budget? Ecco, ora avrei bisogno…”.
In generale, cercate di ricordarvi, quando state per chiedere un favore, che anche se avete in bocca il sapore di un Chateau Branaire del 2009, dall’altra parte chi vi ascolta potrebbe invece sentire il sapore posticcio di una baguette di dieci giorni fa.