«Purpose»: condurre il proprio lavoro e la propria vita con uno scopo
“Non si può condurre una vita che sia veramente eccellente senza sentire che si appartiene a qualcosa di più grande e permanente di se stessi” con queste parole, efficaci e brillanti, Mihaly Csikszentmihalyi, psicologo ungherese sottolinea l’importanza di avere uno scopo che trascenda la propria personale e individuale dimensione.
Che cosa ci motiva la mattina? Cosa ci spinge ad alzarci dal letto? Ad andare al lavoro? A fare tutto quello che dobbiamo fare? Cosa dà un senso alla nostra vita? È lo scopo. Lo scopo al quale attingiamo è ciò che orienta in modo molto preciso le nostre scelte di comportamento, siano esse nella vita privata o all’interno dell’ambito lavorativo.
Se Csikszentmihalyi ha rivolto il suo sguardo principalmente all’universo individuale e personale teorizzando lo stato di Flow come il modo per raggiungere la felicità (uno stato di coscienza cognitiva in cui le sfide poste dall’ambiente sono in perfetto bilanciamento con le nostre competenze e lo scopo dell’attività è chiaro e inequivocabile) è, invece, al mondo organizzativo a cui oggi dobbiamo guardare con maggiore interesse.
Le nostre aziende sono il luogo in cui spendiamo la maggior parte della nostra vita professionale (e non solo) e hanno un impatto molto elevato sulla nostra ricerca di uno scopo e di un senso che – come nella frase d’apertura – deve trascendere il nostro modo di considerare la realtà. Se le aziende falliscono in quest’area diviene impossibile per le persone acquisire motivazione e avere uno scopo che va oltre e che trascenda se stessi, perlomeno nell’ambito professionale. Il mondo del lavoro gioca dunque un ruolo fondamentale all’interno del senso che diamo alla nostra esistenza e a ciò che ci motiva.
Una ricerca di EY dell’anno scorso ha messo in luce come il 95% delle aziende dichiari di avere uno scopo, un “purpose” ben definito. Si tratta di un numero molto elevato che, tuttavia, scende al 40% se consideriamo quelle che hanno uno scopo che all’interno del report viene definito con la S maiuscola. Uno scopo – cioè – che trascende, che mette al centro l’essere umano che cambia, che innova e che è in grado di rappresentare un modello per la società intera, non solo per la singola azienda. Sono quelle le società che contribuiscono alla crescita personale e professionale degli individui massimizzando il valore che viene co-creato e scambiato tra i diversi stakeholder.
Non si tratta tuttavia di considerare il “purpose” come uno strumento per ingaggiare le persone o come l’ennesima parola chiave da inserire all’interno dei propri modelli organizzativi. Le aziende che hanno una value proposition chiara e definita sono, infatti, in grado di massimizzare il coinvolgimento e l’ingaggio dei clienti esterni, attrarre talenti in modo più semplice, preservare il valore del band, mitigare i rischi e ridurre i costi interni ed esterni. Si tratta di una dimensione che le aziende – e i singoli – devono riconsiderare e rimettere al centro delle proprie priorità personali e di lavoro.
Non ultimo, e non meno importante di quanto abbiamo sottolineato fino a qui, la dimensione dello scopo risulta fondamentale per contribuire in modo fattivo alla comunità in senso esteso. Le aziende non rappresentano solo il punto di arrivo, ma lo snodo fondamentale per il miglioramento della società.
Se teniamo presente questa dimensione chiave – come individui che operano nelle aziende e come persone nel mondo – siamo in grado di ripensare e riprogettare non solo le nostre organizzazioni, ma il modo stesso in cui approcciamo la nostra intera esistenza. Non possiamo nemmeno esimerci dal farlo, è infatti un processo chiave per ogni essere umano. E se non bastasse è sufficiente ricordarsi l’adagio di Seneca: “Nessun vento è favorevole per il marinaio che non sa a quale porto vuol approdare”.