Alzare i toni in rete non produce risultati: impariamo a domare le emozioni negative sui social network
Sono passati ormai 10 anni da quando Facebook ha iniziato a fare iscritti anche in Italia, seguito da altre piattaforme che, dopo quelle “di nicchia” degli anni precedenti (Myspace, Friendfeed e poche altre di relativo successo, prese d’assalto dagli “smanettoni” della prima ora), hanno reso i social media “mainstream” e alla portata di tutti.
Oggi siamo in molti ad avere almeno un profilo social. La maggior parte delle persone è su Facebook e usa quotidianamente almeno WhatsApp, un po’ meno le altre (Instagram, Twitter, Linkedin etc.), ma il fatto è che ormai siamo tutti utenti della rete, che utilizziamo per molte delle nostre esigenze e interessi. Merito anche della rete mobile e della diffusione degli smartphone, che ne hanno allargato la base utenti e aumentato le opportunità e il tempo di utilizzo.
Parafrasando Massimo d’Azeglio potremmo dunque dire che l’Italia Digitale è (quasi) fatta, almeno per quel che riguarda la penetrazione di internet tra la popolazione, ma è più che mai urgente rendere davvero digitali gli italiani, che tra un film in streaming e un download (spesso illegale), una prenotazione su Booking.com e un viaggio fuori porta con Google Maps, stanno utilizzando gli strumenti sociali della rete anche come dei giganteschi stadi in cui urlare, insultare e scaricare le proprie frustrazioni.
Il lato oscuro del digitale sta colpendo i social e i suoi utenti sotto diverse forme, dalle bufale alle fake news, ai post e commenti violenti, ai troll sempre più agguerriti, determinando un generale abbandono alla rabbia, all’insoddisfazione e alla violenza, circostanza che svilendo i canali sociali e che potrebbe presto convincere molti che sia meglio fuggire via.
Sarebbe una sconfitta per tutti, perché la rete è una grande opportunità, ma questo stallo potrebbe invece addirittura insegnare qualcosa alle persone. A trasformare la rabbia, la frustrazione, la paura e la delusione in energia positiva.
Internet ha rappresentato un punto di svolta incredibile per il genere umano. Prima di questa fondamentale innovazione, l’umanità conosceva ben pochi mezzi di comunicazione in grado di consentire alle persone di interagire tra loro a distanza in modalità “many to many”. Si poteva parlare al telefono in due o più persone, se si disponeva di centralini o apparati idonei, oppure si era protagonisti o spettatori, dalla TV, dalla radio, dai giornali. Non c’era praticamente modo di confrontarsi in molti, in tempo reale, senza essere presenti di persona nello stesso luogo.
Questa opportunità, che Internet ci ha messo a disposizione a partire da quello che è solitamente definito come il web 2.0, ci ha trovati impreparati. Non soltanto le persone, ma anche le istituzioni, con le loro leggi, gli organi di controllo e le aggregazioni di qualsiasi genere e natura. Tutti ugualmente impreparati, circostanza che ha dato una grande chance ai più disinibiti e a tutti quelli che hanno visto in questa impreparazione una ghiottissima opportunità. Il Cluetrain Manifesto del 1999 faceva chiaramente riferimento a queste due categorie: i pazzi, che usavano la rete senza averla capita a fondo, esponendosi a grandi rischi, e i criminali, che ne approfittavano senza ritegno.
Oggi i criminali sono sempre più raffinati e i pazzi sono passati dall’entusiasmo iniziale, probabilmente eccessivo, alla delusione, all’indignazione e alla rabbia. Una rabbia che fa male alla rete e che non porta da nessuna parte.
Il motivo di questa deriva è semplice: chi ha meno argomenti da mettere sul piatto della conversazione compensa questa carenza alzando la voce e i toni, cosicché la rete, al pari di troppe trasmissioni in TV, si riempie di gente che urla e che si sfoga, senza portare nessun valore. Ma è davvero una tendenza irreversibile e impossibile da cambiare?
La risposta non è semplice e bisognerà attendere che passi questa fase di transizione, per capire se la fuga dai social sarà davvero l’unica soluzione possibile, ma è possibile, oltre che auspicabile, che nei prossimi anni si inneschi un processo di consapevolezza e di evoluzione collettiva, in grado di cambiare davvero il modo in cui le persone si relazionano in rete.
Se nulla di buono o di costruttivo può arrivare dalla violenza, infatti, imparare a trasformare rabbia e frustrazione in energia positiva è la strada maestra verso un’autentica e proattiva cultura della rete, in grado di portare davvero il genere umano verso una nuova era.
Non si tratta di un cambiamento semplice, ovviamente, ma presto ci accorgeremo che la nostra libertà e la nostra stessa umanità dipendono sempre più dalla nostra capacità di imparare a relazionarci e ad operare sulla rete, sul lavoro e in qualsiasi ambito in modo più neutrale e con un approccio meno competitivo e più collaborativo. Per farlo dovremo imparare dalle macchine, dalle intelligenze artificiali, dai chatbot che sempre più ci aiuteranno a diventare uomini migliori, trasformando in opportunità alcuni tra i nostri principali difetti. Un esempio? La nostra cronica incapacità di valutare un’affermazione per ciò che è, senza alcun pregiudizio e senza mettere sul piatto della bilancia chi l’ha fatta, perché, in funzione di quale obiettivo e/o secondo fine, potrebbe trasformarsi in una maggiore e più lucida e razionale capacità di analisi e di valutazione, se solo fossimo capaci di non lasciarci andare alle emozioni.
Perché in fondo è questo pezzo di umanità che ci ha sempre messi nei guai: le emozioni, le sensazioni, la diffidenza e i pregiudizi che ci impediscono di gestire le nostre relazioni in modo positivo, anziché rovinare sempre tutto dopo pochi scambi di idee o interazioni.