Le biciclette, come le migliori idee, non vanno tenute in garage
Qualcuno scrisse anni fa il piccolo trattato di ciclosofia, un prontuario di chi usa le due ruote e guarda le città da un altro punto di vista.
Perché la bicicletta è un detonatore di attimi rubati, quelli in cui spesso nascono le migliori idee, a volte perché le trovi per caso.
Ho sempre trovato le due ruote un mezzo privilegiato, metafora perfetta della decisione e della scelta: c’è la parte più cognitiva e strategica, quella in cui pianifichi la strada da percorrere, i semafori da evitare, il modo più rapido per arrivare a destinazione. E c’è quella più istintiva e non troppo consapevole: a un certo punto pedalare diventa gesto ipnotico e senza tempo, come il magico giorno in cui, studiando pianoforte, un passaggio difficile sulla tastiera, che richiedeva la massima concentrazione, si scioglie nella magia dell’automatismo e si trasforma in naturale. Ecco, la bici è questo, esempio perfetto di quello che Daniel Kahneman ha brillantemente distinto in sistema 1 e sistema 2 nel cervello: la mente più razionale – pianificatrice, appunto, e quella più automatica emotiva.
La bicicletta è un mezzo che mi è sempre piaciuto perché chi la usa padroneggia i segreti del pi greco senza necessariamente doverne conoscere le equazioni. È il mezzo più esperienziale e REALE: il ciclista sente, più del pedone, le asperità del terreno e le pendenze nascoste di un viale. Avverte o intuisce la salita, o il falso piano. E fa la fatica umile di sentire il percorso nelle gambe.
Baumeister usava il concetto di ego depletion per descrivere quelle situazioni in cui, resistendo a una tentazione, le persone consumano molta energia mentale. Se su un tavolo trovate dei rapanelli e poi dovete svolgere un sudoku, ci metterete meno tempo o, in ogni caso, vi arrenderete molto dopo di chi, viceversa, sul tavolo ha una barretta di cioccolato. La bicicletta sospende i pensieri come in uno stato di flusso; rende ecologico il pensiero. Perché pedalare è la vita su un ritmo diverso: è vedere cose che voi umani non potete capire. È sospendere un’idea nell’ipnosi dell’intuizione. È fare fatica, di nuovo, ma muoversi con la nobiltà leggera di un cigno (magari nero).
La bicicletta è emblema perfetto della serendipity, categoria necessaria ai tempi dell’innovazione e dei Big Data: è trovare quello che non si stava cercando o capire, magari, se lo si era già trovato. È fare tesoro dell’esperienza ricombinando la realtà in un puzzle più azzeccato. È avere, perché no, la botta di fortuna che nasce dalle asperità. Lo sapete che la bici stessa è un prodotto serendipitoso dell’improbabile?
Correva il 1816, divenuto celebre come l’anno senza estate. L’eruzione del vulcano Tambora produsse in Europa come negli Stati Uniti anomalie termiche che rovinarono i raccolti, riducendo la quantità di foraggio disponibile per buoi e cavalli e aguzzando l’ingegno della necessità. Fu proprio in quell’anno che il prototipo della moderna bicicletta fu creato, dando il via a una storia che ancora oggi innamora e fa innamorare.
Perché della bici, come di un’idea, ci si innamora: e le bici, come le idee, non vanno tenute in garage.
Magari lì nascono ma poi sono fatte per prendere aria: e perdersi nel raggio che torna dove era partito, per conoscere ogni cosa per la prima volta.