Pensiero critico e spirito accomodante
Per comprendere alcuni effetti sociali del comportamento umano, talvolta molto distanti, è a mio avviso necessario focalizzare l’attenzione proprio sulla natura umana, e con essa gli aspetti psicologici e di personalità più profondi. Tali aspetti contemplano elementi consci e inconsci, spesso contraddittori, in quanto siamo esseri biologici densi di complessità e non automi che seguono regole funzionali.
Mi vorrei concentrare su due elementi contrapposti, che a mio avviso possono stare sullo stesso piano in un continuum di sfumature che va da un polo all’altro: il pensiero critico e lo spirito accomodante e collaborativo. Per pensiero critico intendo quella attitudine a mettere in discussione i dogmi, i punti fermi, le certezze; per spirito accomodante o collaborativo intendo l’attitudine ad accettare le regole del gioco, a farle proprie a non porsi troppe domande ma a collaborare fattivamente per un obiettivo.
Ognuno di noi si colloca in un punto intermedio tra i due estremi; tale punto oscilla in base a molti fattori, interni ed esterni, e quindi varia nel tempo. In ogni caso c’è probabilmente una tendenza innata, genetica, che ci riconduce a un’area di tale variabilità.
In alcuni casi le posizioni si radicalizzano e diventano estreme. Da un lato il pensiero critico diviene sempre più “aggressivo” e pone in discussione sempre più cose. Procedendo in questa direzione si sfocia nel mettere in discussione praticamente tutto, entrando in quello che è definito come complottismo, fino a dubitare che la terra sia rotonda.
Dall’altro lato, caratteristiche molto utili nella vita, soprattutto lavorativa, come lo spirito collaborativo e accomodante possono degenerare in conformismo, annullamento della propria individualità e del proprio pensiero. Entra in gioco spesso anche il senso di appartenenza a qualcosa, che cementifica le convinzioni e si riempie di carica emotiva.
Entrambi gli estremi sono a mio avviso patologici, perché possono portare in entrambi i casi a negare l’evidenza della realtà, per eccesso di spirito critico o per eccesso di accettazione di ciò che il gregge propone. Ma entrambe sono caratteristiche di personalità, che entro certi limiti sono sane e accettabili. Ed è proprio nell’equilibrio e nell’armonia che si trova con buona probabilità la migliore forma umana.
Chi si colloca maggiormente dal lato critico ha attitudini più affini a ruoli da filosofo, artista, innovatore, intellettuale (il rompiscatole che spariglia le regole del gioco). Chi si colloca sul lato accomodante ha maggiore attitudine a ruoli sociali, operativi, politici, militari, manageriali.
Quando il contesto è fonte di stress o paura, per situazioni oggettive di criticità (come ad esempio nei recenti casi di guerra e pandemia) o indotto a livello mediatico, si alza il livello di aggressività e tratti di personalità che possono convivere serenamente divengono motivo di scontro.
Penso non sia necessario fare esempi di quanto detto, in quanto evidenti a tutti negli ultimi mesi.
Come migliorare tale situazione?
In primo luogo abbassando il livello di aggressività e ritornando a confronti civili. Per questo è a mio parere molto importante che i media abbassino i toni e affrontino in maniera più pacata e responsabile argomenti delicati e sensibili. In secondo luogo cercando la complementarietà delle caratteristiche umane. La straordinaria “biodiversità” umana può essere enorme ricchezza, proprio quando le caratteristiche di ciascuno completano quelle degli altri in un macro-organismo che supera la somma delle parti. Servono quindi obiettivi comuni, che consentano di catalizzare le energie verso la collaborazione per un fine, che ammettano la critica come motore di miglioramento e non semplice demolizione di quanto costruito. Sublimare il lato oscuro verso fini nobili e non lasciarlo a briglia sciolta, evitando che diventi facilmente paura della diversità, disprezzo di opinioni differenti e ostilità a caratteristiche umane opposte.
In conclusione la diversità umana può essere fonte di scontro o di ricchezza, sta a noi decidere cosa vogliamo e creare le condizioni affinché si sviluppi la complementarietà piuttosto che erigere muri sempre più alti.