Parisa Nazari: “La mia lotta per un Iran libero”
Intervista con l’attivista iraniana dopo l’iniziativa con Amnesty International e Coop: “Siamo al punto di non ritorno, il regime degli ayatollah cadrà più prima che poi”.
Fino allo scorso aprile Amnesty International e Coop hanno promosso un’iniziativa a favore della libertà e della democrazia in Iran. Si chiama “Close the gap – donne, vita, libertà“: migliaia di persone hanno firmato fisicamente oppure online una cartolina con un messaggio a favore delle libertà delle persone nel paese che dal 1979 vive in una teocrazia divenuta nel tempo sempre più fondamentalista e, considerando le inenarrabili torture e uccisioni con cui si è tentato di spegnere le proteste degli ultimi anni, sanguinaria. Al termine della campagna quella montagna di missive è stata recapitata all’ambasciata dell’Iran in Italia. Un progetto supportato anche da Parisa Nazari: farmacista, laureata alla Sapienza di Roma, è iraniana e dal 1996 vive in Italia. Innamorata del suo paese, dove torna ogni anno, cerca di diffonderne la cultura millenaria, l’arte, la poesia e la musica attraverso iniziative interculturali. Da tempo ha sposato a questa missione culturale l’attivismo a favore dei diritti umani con Amnesty e altre organizzazioni come Women Life Freedom Italy Community. Tre anni fa ha deciso che occorreva esporsi pubblicamente con più forza e diventare voce dei suoi connazionali. Accettando il prezzo, altissimo, di non poter più fare ritorno a casa. Ci abbiamo parlato per capire com’è la situazione oggi e che cosa potrebbe accadere a Teheran.
Qual è la situazione delle proteste in questo momento in Iran?
“La situazione in Iran in questo momento vede cambiate le forme di protesta contro il regime iraniano. Ovviamente non è più come i primi giorni e mesi dopo l’uccisione di Mahsa Amini, la ragazza curda iraniana che abbiamo visto tutti finire in ospedale e poi perdere la vita dopo un arresto da parte della polizia morale. Il mondo intero ha visto le immagini di tantissime città iraniane in cui tutti, donne e uomini, sono scesi in piazza per settimane, per mesi, gridando lo slogan “Donna, vita, libertà” e “No alla dittatura”. In queste ultime settimane vediamo una diminuzione delle proteste di piazza, ma vediamo un’altra forma di lotta, soprattutto da parte delle donne, attraverso la disobbedienza civile. Infatti, non rispettare il codice di abbigliamento vigente in Iran è una forma di lotta contro uno stato che esercita il proprio potere sul corpo della donna attraverso l’obbligo del velo, a cui le donne non vogliono più sottostare. Ecco perché vediamo ora donne, giovani e meno giovani, che si vestono come se non ci fosse un obbligo di coprirsi completamente il corpo, mostrando solo il viso e le mani, sapendo di poter essere arrestate, percosse e incriminate, a volte processate e anche uccise, come è successo a Mahsa Amini. E vediamo anche un regime che non riesce in nessun modo a controllare milioni di donne che non rispettano più l’obbligo del velo. Ovviamente non ci sono abbastanza milizie o forze dell’ordine per poter far fronte a questa forma completamente nuova di lotta per la propria libertà e per la propria emancipazione, che le donne iraniane stanno portando avanti soprattutto nelle ultime settimane”.
Ci sono speranze affinché il regime degli ayatollah possa cadere nei prossimi anni? E qual è,a suo avviso, il sostegno di cui gode in patria: chi non vuole la democrazia, chi costituisce la “riserva” popolare di Khamenei e del clero sciita?
“Personalmente coltivo questa speranza. A mio avviso siamo arrivati al punto di non ritorno e il regime degli ayatollah cadrà più prima che poi, dato che la popolazione sta mostrando in tutti i modi che non vuole più essere governata da chi non ha alcun rispetto per la vita umana e compierebbe qualunque atto e atrocità per rimanere al potere. In più questa classe dirigente, questa fazione ultraconservatrice che attualmente governa il paese, non ha alcuna competenza per guidare un paese giovane, progressista ed estremamente istruito, soprattutto per quanto riguarda le donne che superano gli uomini a livello di educazione. Questa classe dirigente anziana, per niente competente, non è più tollerabile da parte di una popolazione che vive in una situazione di costante violazione dei diritti umani ed economicamente disastrosa, dovuta sia alle sanzioni internazionali ma anche per via delle politiche economiche basate su un’ideologia di inimicizia con il mondo occidentale”.
La sensazione è che il popolo iraniano sia isolato: geograficamente e politicamente. A parole il sostegno alle proteste è forte, ma nella sostanza fatica a esprimere risultati: è d’accordo?
“Sì, sono d’accordo che in questo momento i riflettori si stanno spegnendo sulla situazione iraniana e la tensione del mondo sulla violazione dei diritti umani, che era stata alta negli scorsi mesi, ora si sta abbassando. È vero che le società civili di diversi paesi sono state accanto alla diaspora iraniana, in cui milioni e milioni di persone sono state costrette a lasciare il proprio paese e sono diventate la voce dei loro connazionali che stanno rischiando la vita in Iran facendo forme di lotta non violenta e disobbedienza civile. Nel mondo sono state organizzate molte manifestazioni, eventi, incontri, convegni, eventi culturali; abbiamo visto accanto a noi, soprattutto a noi donne iraniane, moltissimi esponenti della società civile, ma anche molti politici che hanno sostenuto e riconosciuto come legittima la lotta del popolo iraniano. Spesso hanno dichiarato che questo regime ha perso legittimità per il proprio popolo, ma evidentemente all’atto pratico non sono stati fatti dei passi concreti: il sostegno rimane quasi sempre verbale e comunque sempre meno”.
Le sanzioni della comunità internazionale colpiscono di più i piani alti del regime o si limitano a rendere più difficile la vita della popolazione?
“Ovviamente le sanzioni colpiscono l’economia del paese e di conseguenza colpiscono la popolazione, ma la verità è che l’Iran è da moltissimi anni sotto l’embargo e nonostante questo mai c’è stata una situazione economica così grave, con una tale svalutazione della moneta iraniana e l’inflazione alle stelle. Inoltre molti lavoratori non percepiscono lo stipendio oppure non vengono applicati degli aumenti; tutto questo rende veramente la vita dei più poveri impossibile e la classe media ormai è schiacciata sotto il peso dell’inflazione. La popolazione non incolpa per questa situazione economica esclusivamente chi applica le sanzioni alla Repubblica Islamica, ma soprattutto il regime stesso perché mette al potere persone non competenti, che hanno semplicemente il merito di far parte di una certa ideologia ultraconservatrice. A causa della grandissima corruzione, la ricchezza del paese viene portata via da chi fa parte del nucleo del potere e la popolazione se ne accorge. I sostenitori del regime ci sono, ma sono sempre meno quelli che credono veramente nella legittimità del regime e nella Repubblica Islamica, che ha delle leggi che vanno esattamente contro i principi democratici di una repubblica. E questo soprattutto per quanto riguarda i diritti delle donne, ma anche di minoranze etniche, religiose e di genere”.
Quali sono stati i momenti più importanti delle varie stagioni di protesta negli ultimi anni e quali risultati hanno prodotto per i diritti delle donne, dei giovani, di tutti?
“Parlando semplicemente degli ultimi 44 anni della rivoluzione del ’79, le donne sono state le prime a scendere in piazza e a protestare contro l’obbligatorietà del velo e l’introduzione delle leggi misogine nella legislazione iraniana in seguito all’insediamento del primo governo della Repubblica Islamica. A differenza di quell’occasione, in cui le donne sono state lasciate da sole e non è stata data la giusta importanza al loro atto, negli ultimi 44 anni le donne sono riuscite, attraverso tantissime battaglie, campagne, lavoro culturale, lavoro artistico, lavoro basato sull’associazionismo attraverso le ONG, ad acquisire sempre più consapevolezza dei propri diritti, grazie all’investimento soprattutto nell’istruzione universitaria in cui hanno superato anche i maschi. In questo modo le donne sono riuscite a crearsi una sorta di protagonismo nella società civile iraniana nonostante le leggi misogine e gli ostacoli da superare soprattutto da parte del regime. Per me il punto di non ritorno è stato nel 2019 quando, in seguito a un aumento esponenziale del prezzo della benzina e senza che di questo venisse data notizia alla popolazione, ci sono state moltissime manifestazioni che sono state represse in maniera molto brutale, addirittura chiudendo i canali di comunicazione con il mondo, bloccando completamente internet e l’Iran intero per più di una settimana. Ancora oggi non sappiamo quante persone nel novembre del 2019 sono state uccise. Dopodiché le manifestazioni sono proseguite e, se non fosse stato per il Covid, forse avrebbero avuto un esito diverso. Per me personalmente quello è stato il momento in cui la spaccatura tra la società iraniana e il regime è diventata estremamente profonda e incolmabile; è stata una protesta importante che ha segnato proprio una pietra miliare per la radicalizzazione degli slogan che fino a quel momento non erano così tanto mirati all’esistenza stessa della Repubblica Islamica”.
Quando e come ha deciso di esporsi in modo definitivo per i diritti delle persone nel suo paese?
“Come ho detto prima, per me il novembre del 2019 è stato un momento di fondamentale importanza anche a livello personale. Infatti, mentre prima di quella data cercavo sempre di proteggermi durante le attività che svolgevo a favore dei diritti umani, come la collaborazione con organizzazioni come Amnesty International e altre attività prevalentemente culturali che però comprendevano un aspetto politico e di denuncia della violazione dei diritti umani, dal 2019 ho capito che non potevo più risparmiare in nessun modo qualsiasi mia attività che potesse essere utile a denunciare in maniera aperta e coraggiosa la situazione iraniana, proprio come facevano molte donne e molti uomini che vivevano in Iran e vivono tutt’ora in Iran, rischiando ogni giorno di essere arrestati, incriminati e torturati. Perciò il novembre del 2019 e anche altri eventi che sono accaduti dopo questa data hanno tracciato un momento importante nella mia vita, in cui ho deciso di essere la voce del mio popolo”.
Ci racconti la mobilitazione con Coop e il senso dell’iniziativa.
“Coop è stata vicina alla lotta delle donne e degli uomini iraniani subito dopo l’uccisione di Mahsa Amini con un’altra iniziativa, ma questo nuovo progetto con le cartoline in collaborazione con Amnesty International è stato molto importante perché coinvolge e sensibilizza i cittadini italiani sulla situazione in Iran, invitandoli a compiere un gesto simbolico e semplice, ovvero quello di inviare una cartolina che poi verrà recapitata all’ambasciata iraniana. È una presa di responsabilità nei confronti di quello che sta succedendo in Iran, una forma di indignazione e di sostegno alla lotta delle donne e degli uomini iraniani che rischiano ogni giorno la vita, la carriera, la famiglia, i propri cari, perché vogliono vivere in un paese libero e democratico. A mio avviso chiunque abbia ideali di democrazia e di libertà non può rimanere indifferente nei confronti di un popolo che lotta da più di cent’anni per vivere in un paese democratico. Questo piccolo gesto può essere molto significativo e contribuisce a fare un’opera di denuncia e a far sentire gli iraniani meno soli in questo momento dove la tensione sulla loro lotta sta scemando. Può anche essere un modo per far capire ai politici italiani e ai politici dei paesi democratici che non si possono avere rapporti diplomatici e non si può legittimare in nessun modo un regime che compie tutte queste azioni, che sono riportate nella cartolina, nei confronti di una popolazione giovane e progressista che semplicemente vuole lottare per le proprie libertà fondamentali”.