Le mie Paralimpiadi: una medaglia di bronzo (e una d’argento) tra sacrifici e momenti indimenticabili
Non è facile raccontare cosa significhi aver vissuto le Paralimpiadi da atleta, perché sono un’esperienza totalizzante. E le emozioni che provi lì non puoi trovarle altrove.
Aver vissuto i Giochi di Rio da protagonista, grazie alle due medaglie, una d’argento e una di bronzo, le tre finali conquistate, i tre record italiani, rendono poi tutto speciale.
Innanzitutto la cerimonia d’apertura: un brivido dopo l’altro, in mezzo a quel Maracanà tutto esaurito e festante. Sfilare con la delegazione azzurra, dietro alla grande bandiera italiana, è stata un’esperienza indimenticabile. Forse vi stupirò, però io, come molti miei compagni di squadra, non vedevo l’ora che queste Paralimpiadi finissero: ti prosciugano, sia fisicamente sia mentalmente. Una volta che le vivi, capisci il valore e l’importanza che hanno ma anche come mai si fanno soltanto ogni quattro anni: sono faticose da preparare e da affrontare. Durante i mesi di avvicinamento è come se ti eclissassi: allenamenti mattina e pomeriggio in acqua, palestra, e il tempo per altre cose non c’è più. Poi, quando arrivi lì, devi staccare dal mondo esterno e concentrarti soltanto sulle gare. Tra il momento in cui sono arrivata a Rio e la mia prima gara sono passati dieci giorni: già prima di scendere in vasca per la prima volta ero esausta, piena di tensioni, perché l’attesa era stata troppo lunga. Poi, però, è arrivato quel momento magico, all’esordio assoluto alle Paralimpiadi, che ha cambiato le carte in tavola. Nei 50 delfino S5 non ero tra le favorite per il podio, ma ho tirato fuori la gara perfetta, sicuramente la migliore della mia carriera; una magia inaspettata che mi ha permesso di conquistare il bronzo. Da lì tutto è cambiato: ero una medagliata alle Paralimpiadi. Non avevo mai pianto di gioia in vita mia per una gara: dopo quella non riuscivo più a fermarmi, a ogni abbraccio era una nuova scarica di lacrime. In quel momento ho realizzato che il lavoro, l’impegno e la serietà pagano sempre; quel risultato è stato il frutto di una preparazione seria, costante e faticosa. E’ bello sapere che anche le cose che sembrano impossibili possono diventare realizzabili, con l’impegno e la volontà.
L’impareggiabile emozione della vittoria dopo tanti sforzi e fatiche
Il giorno dopo, nei 100 rana SB4, la mia specialità, ho conquistato l’argento, ma sebbene fossi al settimo cielo, in questa gara sono già vicecampionessa mondiale in carica, quindi non è stata la stessa emozione del giorno prima. Quando arrivi tra le favorite, la pressione è enorme. La gioia per quel bronzo, del tutto inatteso, non è paragonabile con nessun altro successo: per questo, paradossalmente, tengo di più a quel bronzo rispetto all’argento. Dopo ancora gare, ancora gioie, ancora una finale e tanta tanta fatica. Ma anche emozioni uniche che puoi vivere solo lì.
Il tempo libero è stato davvero poco, anche perché a me piaceva andare sugli spalti a vedere le gare dei miei compagni. Ma c’è un altro motivo: le distanze, a Rio, sono impressionanti. Tutto è lontano da tutto, quindi il tempo non era mai abbastanza. Quando però capitava di essere in giro, noi italiani eravamo presi d’assalto dall’affetto della gente del posto. Dopo i brasiliani, i più festeggiati eravamo sicuramente noi azzurri.
C’è un altro aspetto che mi rende felice: il seguito che queste Paralimpiadi hanno avuto. Gli ascoltatori in tv sono stati tantissimi, di più rispetto a quelli di Londra, che tutti ricordavano come la Paralimpiade dei record. C’è chi ancora non sa come chiamarci: disabili, diversamente abili, per non dire altro. Ma è semplice: siamo atleti.
Ora è il tempo del riposo, perché fino a novembre non voglio vedere una piscina nemmeno in fotografia. Poi, però, tornerà la vita di tutti i giorni, quella da studente, da atleta, quella dei sacrifici e delle fatiche. Perché l’obiettivo è la laurea e Tokyo 2020.