Onde Gravitazionali: la lunga previsione di Einstein
A metà febbraio 2016 la comunità scientifica ha comunicato al mondo di aver misurato sulla Terra il passaggio di un’onda gravitazionale, una microscopica increspatura nel reticolo quadrimensionale dello spazio/tempo provocata dalla fusione di due buchi neri, avvenuta a miliardi di chilometri dalla Terra, qualche miliardo di anni fa.
Davvero un risultato scientifico incredibile, di importanza quasi indescrivibile, ottenuto con strumenti sofisticatissimi e grazie alla collaborazione di team internazionali che hanno lavorato alacremente per anni per raggiungere questo obiettivo.
Molto probabilmente questo esperimento è destinato a diventare l’esperimento simbolo del XXI secolo.
Eppure, su molte riviste di settore, sui quotidiani e su quasi tutte le bacheche di Facebook non sono apparsi gli scienziati e gli strumenti protagonisti di questa impresa ma la faccia sorniona e iconica di Albert Einstein, uno scienziato (Lo Scienziato!) del Novecento.
Ma come? Perché invece di raccontare l’innovazione che scaturisce da questa scoperta si torna a celebrare il passato? Perché ancora Albert Einstein?
Pur essendo un amante e un tifoso fazioso del nuovo, devo ammettere che girarsi verso il passato, in questo caso, porta con se significati davvero molto più interessanti di quanti ne porterebbe guardare all’oggi e al domani. In questo breve articolo vi spiego perché è così interessante parlare di Einstein quando si parla di onde gravitazionali e soprattutto, per chi è interessato a prevedere il futuro, proverò a raccontarvi come fanno la scienza e i bravi scienziati a fare previsioni di lungo termine.
Partiamo da Albert. Partiamo dal suo peculiare modo di fare scienza.
Einstein era un fisico particolare, era un fisico teorico ma a suo modo anche un fisico sperimentale. Come è noto Einstein non ha mai costruito uno strumento scientifico, ma la sua mente sapeva costruirne di immaginari e perfetti che poi la sua stessa mente riusciva a mettere in funzione, forse anche a farci delle misure e a raccogliere dati. Uno dei suoi più bravi e importanti biografi, lo scrittore statunitense Walter Isaacson, afferma che questa sua capacità si doveva ai suoi anni passati all’ufficio brevetti di Berna, lavoro in cui doveva immaginare ingranaggi e dispositivi funzionare solo guardando gli statici disegni tecnici consegnati dagli inventori a corredo della domanda di brevetto.
Einstein costruiva strumenti scientifici con la mente: è stato così per l’effetto fotoelettrico e per i treni e gli orologi della relatività ristretta nel suo anno mirabilis (1905); è stato così per i telescopi, le eclissi e gli ascensori del 1915, utili per generalizzare la sua relatività. Strumenti immaginati ma funzionali e funzionanti che solo altri scienziati, poi, 10, 20 anni dopo, hanno costruito e fatto funzionare concretamente, dimostrando la bontà delle sue teorie e dei suoi esperimenti mentali.
Il caso delle onde gravitazionali è solo l’ultimo e forse più eclatante esempio di questo processo, Albert Einstein usava la matematica, la logica e la sua mente per arrivare ad una teoria coerente e poi, non pago, immaginava anche un esperimento e un intero apparato sperimentale per dimostrare “fisicamente” che la sua teoria era corretta. Una mente davvero unica.
Nel 1917, nell’ambito dei suoi lavori sulla relatività generale, alcuni complessi calcoli teorici e raffinatissimi ragionamenti portarono Einstein a dimostrare che ci sarebbero potuti essere eventi gravitazionali nell’universo in grado di deformare lo spazio tempo e di generare nel “tappeto” spazio temporale delle increspature che si sarebbero propagate come si propaga un’onda nello stagno.
A onor del vero, in questo caso il fisico tedesco non provò ad immaginare alcun strumento per misurare queste onde gravitazionali, convinto che l’uomo non sarebbe mai riuscito a misurarne il passaggio, visto l’infinitesimale deformazione che queste onde avrebbero provocato nello spazio/tempo. Come sappiamo solo oggi (dopo il febbraio del 2016), Einstein da un lato si sbagliava (le onde gravitazionali si possono misurare), ma dall’altro aveva ragione, le onde gravitazionali esistono!
Concentriamoci sul secondo punto: Einstein aveva ragione e, soprattutto, i suoi colleghi scienziati sono riusciti a dimostrarlo sperimentalmente solo cento anni dopo le sue intuizioni teoriche. Concentriamoci su questo punto e domandiamoci: quale altra disciplina saprebbe prevedere qualcosa che si verifica ben 100 anni più tardi? L’economia? La medicina? L’Ingegneria?
Quale altra disciplina permette a due disciplinari di dialogare sullo stesso problema a 100 anni di distanza? Karl Marx potrebbe dialogare con Mario Draghi sui problemi che attanagliano l’Europa di oggi? Silvio Piola potrebbe confrontarsi sui ritmi del calcio di oggi con Lionel Messi? E, ancora, cosa direbbe Georges Méliès a Tarantino del suo ultimo film?
C’è, nella scienza e in particolare nella fisica, un senso di universalità che voglio rapidamente provare ad esplorare prima di chiudere questo articolo. Voglio provare ad esplorarlo perché credo che questo senso di universalità possa essere usato anche al di fuori dalla fisica con grande beneficio per chiunque ci provi: imprenditori, manager, startupper, innovatori. Certo non tutti gli scienziati e i fisici sono come Albert Einstein ma è vero che questa disciplina (che ho avuto la fortuna di studiare per 5 anni), un po’ come la filosofia, non ragiona su problematiche limitate nello spazio e nel tempo e dunque porta automaticamente alla ricerca dei fondamenti più profondi del nostro esistere e di tutti gli enti che ci circondano.
Ecco, per concludere, credo che chi si occupa di organizzazioni umane (come per esempio le aziende) dovrebbe avere sempre un doppio approccio, uno da ingegnere e utilitaristico, per far funzionare al meglio le cose oggi, domani e dopo domani e uno più da fisico e universale per far funzionare le cose anche tra cinque o dieci anni…o magari, se siete bravi come Albert, anche tra un secolo.