Il digital è nato in Europa, nell'Ottocento. Ecco perché
Siamo soliti pensare al mondo del digital e alle sue origini come qualcosa di contemporaneo e di americano: i più giovani penseranno a Zuckerberg (Facebook, USA, 2007) o forse all’accoppiata Brin/Page (Google, USA, 1996); quelli più maturi, miei coetanei, penseranno a Jobs (Apple, USA, 1976) e Gates (Microsoft, USA, 1975); infine i più anziani torneranno con la mente fino ai grossi mainframe della statunitense IBM del secondo dopo guerra.
Insomma, per molti, queste sono le coordinate geografiche e temporali del digital: America, Novecento.
Con questo articolo cambierò queste due coordinate: in primis, mostrando come le radici del digitale sono molto più antiche di quel che siamo soliti pensare, risalendo addirittura a un periodo a cavallo tra Settecento e Ottocento, e poi riscoprendo i veri maestri fondatori di questa disciplina che, come spesso è accaduto nella storia della tecnologia, sono tutti europei e hanno operato in quello che gli americani avrebbero chiamato Vecchio Mondo.
Eccole qua le nuove coordinate geografiche e temporali del digital: Europa, Ottocento.
L’idea di questo articolo mi è venuta durante la mia annuale visita al Museo Nazionale della Scienza della Tecnologia, occasione durante la quale accompagno un centinaio di studenti dell’Università Cattolica all’interno dell’area espositiva dedicata alla storia della comunicazione, che ho avuto l’onore di progettare e curare all’inizio degli anni duemila. Un viaggio che per gli studenti è occasione di riflessione profonda sull’evoluzione dei media e che per me è diventato, ormai, dopo più di un decennio da quel mio lavoro, un amarcord di emozioni… che però, per fortuna, mi riserva ancora sorprese e nuove scoperte. Questo articolo nasce proprio da una inaspettata scoperta fatta durante la mia ultima visita. Nel tragitto che separa l’ingresso del museo dalla sezione dedicata alla storia della comunicazione si incappa in una macchina molto speciale, una macchina appena restaurata e riproposta in un nuovo e più elegante allestimento al pubblico del museo, si tratta del telaio jacquard, uno dei primi telai automatici utilizzati in Italia.
Il francese Joseph Jacquard (1752 – 1834) è stato un fine meccanico e grande inventore e viene considerato il fondatore dell’automazione industriale. Con la sua macchina, oggi nota con il nome di “telaio jacquard”, ha aperto di fatto l’epoca della macchina moderna e dell’informatica, infatti, per la prima volta nella storia, anche se si possono trovare altri esempi meno fortunati nei decenni precedenti, Jacquard propone una macchina composta da una parte fisica (hardware) immutabile e da una parte intangibile (software) in grado di comandare e pilotare gli organi meccanici della macchina stessa. La macchina esposta nel museo milanese è spettacolare e mostra questo primordiale binomio (hardware/software) in modo così potete da lasciare senza fiato. Nella parte alta della macchina di vede una sequenza elegante di schede perforate che racchiudono al loro interno (il foro rappresenta 1, l’assenza di foro rappresenta 0) tutte le istruzioni che la macchina dovrà eseguire nella tessitura della trama e dell’ordito che comporrà il tessuto. Naturalmente, cambiando le schede nella macchina, cambiando il software diremmo oggi, cambia il disegno sul tessuto. La prima macchina di questa tipologia è stata costruita nel 1801 dall’inventore francese e da quel giorno, lentamente ma inesorabilmente, questa tecnologia si è diffusa nell’industria dei tessuti, supportando la prima rivoluzione industriale.
Negli stessi anni in cui Jacquard vedeva la sua macchina diffondersi, un altro intellettuale europeo ma questa volta inglese, George Boole (1815 – 1864), teorizzava la logica che sarebbe stata alla base della scienza dell’informazione, la matematica booleana, oggi chiamata binaria e che come sappiamo prevede solo due numeri nella sua algebra, lo zero e l’uno, che oggi chiamiamo bit.
Ma a mettere insieme l’idea definitiva di una macchina in grado di elaborare i dati, sfruttando le schede perforate e la logica dei numeri binari, facendo la sintesi perfetta tra software e hardware, fu Charles Babbage (1791 – 1871). L’inventore inglese nel 1837 riuscì a progettare la sua “Macchina Analitica”, una macchina universale, direbbe il suo connazionale Turing 100 anni dopo, in grado di essere programmata per eseguire ogni tipo di elaborazione, attraverso migliaia di ingranaggi. C’è un forte legame tra Jacquard e Babbage, così come tra le loro affascinanti e incredibili macchine, come ci fa notare Ada Lovelace, la figlia di Lord Byron, che scriveva: “la macchina analitica di Babbage tesse forme algebriche così come il telaio di Jacquard tesse fiori e foglie”. Nelle opere di questi tre grandi uomini europei dell’Ottocento possiamo trovare le origini di quello che oggi chiamiamo “digital” e che caratterizza i nostri business e la nostra vita tutti i giorni.