Muhammad Alì, the Greatest Of All Time
Se proviamo a cercare la parola “goat” sul dizionario inglese-italiano troviamo la traduzione di “capra”. Se invece proviamo a fare una ricerca di G.O.A.T. come acronimo su Google troviamo due cose: la prima è la spiegazione, Greatest Of All Time – il più grande di tutti i tempi, la seconda è un nome, Muhammad Alì.
Ci ha lasciato da pochissimo, lo sappiamo e non vogliamo raccontarvi la mera cronaca di un decesso figlio di un morbo, il Parkinson, che aveva già messo ko il più grande di tutti da oltre tre decenni; quello che vogliamo provare a raccontare, qui, sono alcune piccole curiosità e racconti che ci spiegano perché effettivamente Alì era “The Real Goat”, partendo da lontano.
La sua storia nasce negli anni ’50 a Louisville, la cittadina a nord del Kentucky dove era nato. Ragazzino di colore, nasce e cresce in una famiglia atipica per il contesto ed il periodo, papà era grafico pubblicitario, la mamma cameriera. Ebbene, nel Nord del Kentucky accade un giorno del 1954, ottobre 1954, qualcosa che sarà destinato a cambiare le sorti del mondo, e non usiamo un eufemismo. Quel giorno, all’esterno del Columbia Auditorium dove si stava svolgendo il “Louisville Home Show” rubano una bici a un ragazzino, al tempo dodicenne, che si chiamava Cassius Marcellus Clay. Preso dalla furia, descritta dai testimoni come “una rabbia feroce”, Cassius chiese aiuto, sfogandosi, a un poliziotto dicendogli che avrebbe picchiato il ladro. Il poliziotto, al secolo Joe Martin, non era il classico supereroe da telefilm, anzi, sembrava un po’ il classico uomo in divisa con la pancia cresciuta e già in là con gli anni, ma quella bici e quel poliziotto cambiarono la vita del ragazzo: «Bene – gli rispose – faresti meglio a imparare come combattere prima di cominciare a minacciare la gente».
Martin, per un fortuito caso del destino, allena giovani pugili nella palestra di Louisville nel tempo libero e il destino di Cassius è segnato, di lui lo stesso poliziotto-allenatore dirà: «Si distinse perché aveva molta più determinazione degli altri ragazzi. Era un bambino disposto a fare i sacrifici necessari per ottenere qualcosa di utile dallo sport. Era, semplicemente, il più duro lavoratore fra i bambini che ho allenato».
Bastano 6 anni a Cassius Clay per farsi conoscere dal mondo, Olimpiadi di Roma del 1960, ma quello che non tutti sanno è che una volta convocato dalla federazione americana il giovane pugile è convinto di poter arrivare in Italia in treno. Lui, che all’epoca non aveva mai preso un aereo, era talmente terrorizzato dall’idea di volare che ebbe due richieste: un paracadute e una ragazza seduta al suo fianco. Il primo fu un paracadute militare che tenne addosso per tutto il tempo, l’aereo sarebbe potuto precipitare e voleva farsi trovare pronto, la seconda, la ragazza, non passa agli onori delle cronache. Clay all’epoca non aveva mai baciato una donna e la sua richiesta derivava dal fatto che, se l’aereo fosse precipitato, avrebbe baciato la ragazza al suo fianco. Fortunatamente il viaggio andò bene e Clay vinse l’oro olimpico a soli 18 anni.
Fu la prima tappa di una lunga ascesa che lo portò a essere il più forte sul ring nel mondo della boxe per diverso tempo, ma perché «the goat»?
Amico di Malcolm X, si convertì alla fede islamica nel 1964, ma senza voler entrare in temi religiosi vogliamo sottolineare il suo essere grande e la sua capacità di influenzare e motivare il popolo con una celebre frase che disse successivamente alla sua chiamata alle armi per andare in Vietnam:
«Non voglio andare in Vietnam perché nessun vietnamita mi ha mai chiamato negro», disse nel 1967 in riferimento all’episodio per cui non l’avevano fatto entrare in un ristorante per via del colore della sua pelle. Venne squalificato per 4 anni fino al 1971, arrivò a gettare la medaglia d’oro delle Olimpiadi come gesto di ribellione, il titolo di campione del mondo, ottenuto battendo quello che all’epoca era ritenuto un vero e proprio mastino del ring come Sonny Liston, revocato. Combatté molto, anche fuori dal ring, per i diritti in cui credeva durante tutto l’arco della sua vita fino a tornare campione nel 1974. Sono numerosi i suoi incontri passati alla storia.
Ha sempre parlato di pace, pur essendo estremamente aggressivo, anche verbalmente, quando vestiva i calzoncini da boxeur. Intimoriva gli avversari, lottava per i suoi ideali, era un grandissimo comunicatore a 360°, non solo in una accezione sportiva.
La nuova generazione forse ne ha solo sentito parlare, forse lo conosce per il tributo che il cinema gli ha donato col film omonimo interpretato da Will Smith, forse lo ha vissuto attraverso le parole di Fabio Tavelli (che ringraziamo per le preziose informazioni forniteci) durante uno degli eventi gratuiti di Centodieci. Per fare un paragone è come se oggi Lionel Messi o Cristiano Ronaldo iniziassero a comunicare e a parlare al mondo, con forza e carisma, anche di temi non legati al calcio. E ad influenzare le scelte e gli orientamenti del resto del mondo.
Ecco perché G.O.A.T., ecco perché, secondo qualcuno, oggi abbiamo Barack Obama come Presidente degli Stati Uniti. Probabilmente non saremmo arrivati a tutto questo senza la forza, lo spirito e il carisma di Cassius Marcellus Clay – Muhammad Alì.