Ecco cosa c'è di sbagliato nella parola "meritocrazia"
Inizio con il dire che tutte le parole che finiscono con “crazia” mi allertano. “Crazia” è un suffisso usato nelle parole composte e ha il significato di “potere”, così per esempio, la democrazia è il “potere del popolo”, la burocrazia è il “potere degli uffici” (da bureau, ufficio in francese) e, naturalmente, la meritocrazia è il “potere del merito”.
Ecco il primo inghippo: il potere. Il potere è una parola e un concetto che non amo: il potere, quasi sempre, diventa mestiere del potere, il potere, quasi sempre, diventa un esercizio sterile. Il potere è statico. Alla parola potere ho sempre preferito la parola “potenza”, termine che rimanda all’energia, alla dinamica e a qualcosa di misurabile e quindi giudicabile. Il potere non si giudica, si subisce o lo si esercita. Esprimere “potenza” è più elegante che esercitare “potere”. E così, partendo dal fondo, il suffisso della parola “meritocrazia” non mi piace, anche se so che, come diceva Winston Churchill a proposito della democrazia, non abbiamo trovato ancora nulla di meglio. Questo però non ci impedisce di continuare a cercare.
Ma veniamo al nocciolo della questione: il merito. Devo confessare che a uno sguardo superficiale, questa parola non mi dispiace nemmeno, anzi, mi sembra una di quelle parole da usare e diffondere e difendere. Poi però un giorno l’ho allontanata dalla mia bocca e l’ho guardata bene e ho iniziato a vedere alcune sfumature e alcuni riflessi che non mi piacevano, esattamente come gli occhi di quei pesci, non più così freschi, sul banco del pescivendolo. Ve li mettereste in bocca?
Insospettito da quegli strani riflessi mi sono interrogato: che cosa è il merito? Questa parola ha o dovrebbe avere davvero un valore reale nella nostra cultura?
Sono un fisico e sui banchi dell’università mi hanno insegnato il “riduzionismo”, i grandi scienziati del passato hanno ridotto ogni fenomeno naturale a poche forze e pochi elementi (o particelle elementari) con cui è possibile spiegare tutto. Con lo stesso spirito, alla ricerca di risposte alle domande poste più sopra, provo ad andare all’essenziale, al rapporto uno a uno tra esseri umani, chiedendomi: a questo livello esiste la meritocrazia?
La risposta è no! Pensateci: avete mai baciato un uomo o una donna perché se lo meritava? Vi siete mai innamorati di qualcuno solo perché meritava il vostro amore? Abbracciate i vostri figli o i vostri amici, mossi dal voler riconoscergli un merito?
Forse sarà capitato qualche volta, magari per solidarietà, ma se ci pensate bene, il merito non è il motore delle azioni che caratterizzano la nostra vita, siamo piuttosto mossi dal piacere che ci restituiscono questi gesti, dall’amore, dall’affetto, dalla passione, dalla simpatia, dalla convenienza, quasi mai dal merito. Insomma, sembra che nel regno delle relazioni interpersonali, il merito non trovi spazio. Spostiamoci altrove, a un livello più alto.
Le mie ultime letture di biologia e di teoria della complessità, mi hanno insegnato che alcune “cose” emergono nei sistemi a un livello più alto, rispetto al livello delle relazioni tra singoli elementi. E così, per esempio, nel nostro corpo, la cellula non sa nulla del tessuto, il tessuto non sa nulla dell’organo e di come funziona e, infine, l’organo non sa nulla dell’organismo e delle sue regole. Forse è così anche per il merito, forse quando tanti umani si mettono in relazione tra di loro, a un certo punto emerge magicamente la necessità di meritocrazia. Forse dobbiamo guardare alla complessità delle moderne strutture sociali per trovare il senso della meritocrazia. Credo che questa sia la strada giusta. Non è un caso, infatti, che quando ho messo in dubbio il valore della “meritocrazia” in qualche mio post sui social network, a risentirsi di più, sono stati umani e professionisti che lavorano nelle multinazionali o all’interno dell’Università. Nessuno libero professionista, startuper o imprenditore si è arrabbiato quanto chi, tutti i giorni, deve trovare la sua giusta posizione dentro logiche complesse in strutture piramidali e gerarchizzate. Ecco qua quello che meno mi piace della parola meritocrazia: questa parola prevede una piramide, un sopra e un sotto, qualcuno che guardi dall’alto gli altri e dica “ehi tu, vieni su, te lo sei meritato”. Ecco che torniamo all’inizio, torniamo al potere e con esso a regole di gestione che non sono naturali e spontanee, ma esercizio e mestiere.
Se penso alla parola “meritocrazia” mi vengono in mente le università e le grandi aziende, lì succede qualcosa di “speciale” e secondo me di poco virtuoso che fa emergere la necessità di “meritocrazia”. Parlando da piccolo imprenditore, devo registrare che la mia vita professionale non è mai caratterizzata dalla “meritocrazia”, tutte le mie scelte – quale collaboratore o fornitore scegliere, quale mercato privilegiare o non considerare – sono da sempre basate su un semplice concetto, quello di “win – win” o di “convenienza reciproca”. Questa è l’unica regola che seguo e che credo guidi la vita professionale di tanti liberi professionisti e imprenditori. Nessun piccolo imprenditore o artigiano (e naturalmente anche un bravo professore o un bravo manager d’azienda) sceglierebbe la propria cugina al posto di un bravo professionista per gestire una unit del proprio business. Non lo farebbe perché così metterebbe a rischio l’intero suo business. Purtroppo, come sappiamo, invece, questo succede e, nella nostra società, spesso incapaci “cugine di” o incapaci “ figli di” assumono ruoli importanti. Per questo richiediamo “più meritocrazia”, ma a ben guardare il problema non è la meritocrazia ma l’organizzazione malata dentro la quale questa dovrebbe diffondersi come un analgesico.
Forse è proprio così, la parola meritocrazia non mi piace perché non è una cura ma soltanto un analgesico per un organismo malato. Forse se la meritocrazia si diffondesse nell’organismo il dolore sociale si assopirebbe, ma l’organismo resterebbe malato. Un’azienda o una società che non basa tutto il suo funzionamento (a tutti i livelli) sull’erogazione di potenza ma sull’esercizio del potere è un’azienda malata che per star bene ha bisogno di “meritocrazia”.
Guardando alla meritocrazia come cura si perdono di vista le regole del piacere e del vantaggio reciproco, della passione e della spontaneità. Nell’epoca in cui le piramidi si sgretolano e vediamo formarsi reti ovunque, dove il “peer to peer” è sempre più diffuso, credo si giusto iniziare a discutere di questi temi e non celebrare meccanicamente miti che appartengono al secolo scorso, iniziando a cercare la vera cura per costruire una società profondamente più sana.