I benefici psicologici del mare nella nostra vita
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Il mare e la filosofia condividono lo stesso movimento:
incarnano la vita, le indicano una rotta.
– Cécile Guérard
È nell’intercapedine tra mare e inconscio che si nasconde il vero beneficio del ritrovarsi sulla riva, al di fuori della quotidianità cittadina.
Dagli albori dei tempi, il mare si configura come l’orizzonte in cui l’umanità si specchia, scorgendo in quel riflesso la finitezza della condizione antropologica – chiusa com’è nel recinto metropolitano e sociale. I viaggi, le scoperte, l’invenzione della barca, la pesca, ogni cosa e ogni azione relativa al mare porta con sé il bisogno intrinseco dell’uomo di ritornare all’infinitezza, poiché è nell’impossibilità dello sguardo totale sull’immensità del mare che si cela la restituzione di quel pacifico senso di nulla.
Andare al mare, di per sé, è un’espressione errata. Non c’è mai una prima volta verso il mare, ma è sempre un tornare. E una volta sulla soglia della riva quel ritorno fa bene prima di tutto alla psiche.
La sensazione di rigeneramento una volta a contatto con il mare è comune a tutti. Il processo è sia fisico che psicologico. Una ricerca di Connie e Marcel Hernandez ha dimostrato che l’ecosistema salmastro aiuta ad abbassare i livelli di stress. Contribuiscono a questo obiettivo gli ioni negativi nell’aria marina che combattono i radicali liberi, ma aiuta anche il sale che preserva i livelli di melatonina, triptamina e serotonina. Se si prende in considerazione l’immersione, poi, la temperatura dell’acqua svolge un ruolo fondamentale, per ovvie ragioni. Insomma, i benefici fisici sono tanti e ancestrali, conosciuti già dalle prime civiltà che si stabilirono sulle rive del Mediterraneo. E al netto dei consigli “benessere”, vi è un legame stretto a livello psicologico tra mare e individuo che si sviluppa prettamente sul piano psicologico. Tale condizione non permette un’osservazione diretta o di facile strutturazione. Carl Gustav Jung analizzò approfonditamente il legame che intercorre tra l’acqua e l’inconscio, riconoscendo nel primo caratteristiche del secondo, e viceversa. In questo modo il mare diventa una variabile simbolista: lì, tra un’onda e l’altra, si nasconde un fil rouge, delicatissimo, attraverso il quale la psiche umana si immerge nelle profondità del proprio inconscio. In “Simboli della trasformazione”, Jung esplicava così questo rapporto arcaico:
«La proiezione dell’imago materna sull’acqua conferisce a quest’ultima una serie di qualità numinose o magiche, peculiari della madre. Il simbolismo dell’acqua battesimale della Chiesa ne è un buon esempio. Nei sogni e nelle fantasie il mare, o una qualsiasi vasta distesa d’acqua, significa l’inconscio. L’aspetto materno dell’acqua coincide con la natura dell’inconscio, in quanto quest’ultimo (specialmente nell’uomo) può essere considerato madre o matrice della coscienza. In tal modo l’inconscio, quando interpretato in riferimento al soggetto, ha al pari dell’acqua significato materno».
Riassumendo, potremmo azzardare a racchiudere qualsiasi tipo di beneficio, che sia la riduzione dello stress, la guarigione del raffreddore stagionale, o il senso di pace, in un unico solo effetto: il mare riporta l’uomo alla propria origine. Come in un processo di reset, l’individuo lascia le proprie bottiglie piene di messaggi e futili preoccupazioni sulle rive, e nel riverbero della risacca passa dal proprio big bang psicologico, per ritornare alla propria vita quasi nuovo, sporcato appena dalla spuma.
Prova di questo richiamo del mare alla parte più profonda e abissale della mente umana, sono le immagine archetipiche sviluppatesi nei miti. Se per l’appunto i punti più profondi del mare richiamano i posti più oscuri dell’inconscio, le acque stagnanti, ad esempio, rappresentano simbolicamente una stasi dei processi psichici o il legame con la morte. Tutto quanto sorge dall’acqua e a essa ritorna nello stadio finale, come il carro di Elios che nasce da Oceano e ogni sera torna a dimorarvi per riprendere forza e risorgere ogni mattina. Faraoni e guerrieri vichinghi, benché lontani chilometri per cultura e posizione geografica, raggiungevano l’oltretomba attraverso l’acqua, ad esempio. Il mare è stato l’inconscio trasversale dell’umanità.
Non è sorprendente pensare quindi che di tanto in tanto risulti necessario stringere lo sterzo e correre verso il mare con la scusa di un gelato. Che sia di sera, infrasettimanale, o durante un weekend soleggiato poco importa, fuggire dal grigiume cittadino verso uno specchio d’acqua rappresenta l’unico atto di rivoluzione dell’uomo moderno, per ritrovare sé stesso, per accarezzare – almeno una volta – il proprio inconscio, bistrattato troppo spesso da tasks, brief, e da tutta quella serie di inutili inglesismi di questa nuova quotidianità, così lontana dal mare.
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