Lavoro ed etica: è giusto «sbandierare» le proprie battaglie e i propri valori?
Quando facciamo marketing di noi stessi, per esempio durante un colloquio di lavoro o quando utilizziamo Linkedin, i nostri valori, le nostre sensibilità etiche devono stare in vetrina?
Per alcuni i nostri valori sono una componente così ineliminabile della nostra personalità che semplicemente non possiamo non parlarne. Per altri invece i valori sono qualcosa di intimo e di prezioso, che non può essere condiviso perché sarebbe una condivisione strumentale, significherebbe cioè usare le nostre sensibilità etiche per vendere noi stessi.
È vero che i nostri valori non sono in vendita, ma è anche vero che è difficile tenerli nel chiuso della nostra coscienza senza lasciare che contagino gli altri. Con equilibrio e buon senso possiamo quindi pensare a un modo intelligente, ma soprattutto sobrio e trasparente, di ricavare nelle tante nostre vetrine personali (colloquio di lavoro, curriculum, profili social, blog personale) uno spazio per i nostri valori.
Ecco alcune regole di buon senso cui attenersi.
Autenticità
Quando sposiamo buone cause per un puro esercizio narcisistico e di autopromozione, la superficialità dell’impegno viene a galla. Quindi, se desideriamo valorizzare all’interno del nostro brand personale un forte orientamento etico, facciamo in modo che sia qualcosa che ci sta veramente a cuore. Chiunque è in grado di sentire la puzza di ipocrisia quando ci sono molte parole e pochi fatti o addirittura anche quando i fatti ci sono, ma non ci sono emozioni e convinzioni ad accompagnarli.
Nessun pasto è gratis
Può capitare che le nostre convinzioni ci conducano a manifestare prese di posizione molto radicali, magari in ambito religioso o politico. Massimo rispetto ovviamente per chi con coraggio mette a nudo i propri valori in ambito professionale. Tuttavia occorre considerare che nessun pasto è gratis. Può darsi che le nostre opinioni ci precludano opportunità molto interessanti. Da questo punto di vista, in una società in cui l’informazione è superdiffusa e supergratuita, basta una frase sopra le righe in un post per essere catalogati, con le opportunità e i rischi che ne conseguono. Occorre insomma valutare se il gioco vale la candela.
Prudenza
In generale, se volessimo essere cinici e calcolatori e se al cuore si potesse comandare, dovremmo sfoderare la banale saggezza delle nostre nonne e dire che è meglio spendersi per una causa che incontra sostegno trasversale (la costruzione di scuole e ospedali nel Terzo mondo), piuttosto che per una causa che divide l’opinione pubblica (le politiche di contraccezione nel Terzo mondo).
Non c’è bisogno di essere Gandhi
Non è necessario raccontare ai nostri clienti che siamo promotori di battaglie che miglioreranno l’umanità. Possiamo darci un volto etico anche solo descrivendo i nostri sentimenti più semplici, quelli del buon padre di famiglia o del cittadino onesto che rispetta le regole e paga le tasse. Basta anche solo una frase nella storia personale che inseriamo nel blog, sui social network, durante il colloquio con clienti/selezionatori.
Contro cosa combatto
La nostra sensibilità etica è tanto più efficace in chiave di marketing personale quanto più tocca temi vicini alla nostra area di attività: un direttore del personale che durante una vertenza «vende» ai sindacati la sua crociata contro la precarietà nel mondo del lavoro; il titolare di una tabaccheria che affigge in vetrina il cartello «da me mai slot machine»; il videomaker che sul blog scrive «lavoro solo con clienti che si affidano ad artigiani locali e non delocalizzano la produzione». Nei tre esempi citati viene utilizzato il medesimo espediente retorico: valorizzo le mie convinzioni raccontando contro cosa combatto. Combatto contro la precarietà e lo sfruttamento, contro le perversioni del gioco d’azzardo, contro la delocalizzazione che impoverisce i territori. Dal punto di vista comunicativo (pensiamo ai discorsi dei politici) dire contro cosa si combatte è molto efficace. Da un lato aiuta a generare consenso emotivo e solidarietà, dall’altro a spiegare nel modo più semplice possibile la nostra posizione.
Prima i fatti e poi le parole
Nella prospettiva del marketing personale i nostri valori non vanno solo raccontati. Vanno prima incarnati in azioni concrete. Il ventaglio di possibilità è sterminato: c’è chi lavora con un piccolo segno di riconoscimento sulla sua «divisa» (per esempio, una spilla appuntata sulla giacca), e chi regala ai clienti per Natale un libro che affronta i temi del proprio cavallo di battaglia etico. C’è chi organizza comunità professionali (associazioni o gruppi sui social network) di colleghi animati dalla stessa sensibilità etica e chi presta la propria attività professionale gratuitamente per determinate categorie di utenza (l’architetto che ristruttura gratis l’appartamento gestito da una onlus per le attività ricreative dei portatori di handicap). C’è chi invita i clienti alla condivisione di esperienze (il pellegrinaggio o la partecipazione a una manifestazione) e chi inventa iniziative celebrative (festeggiando i dieci anni di attività professionale con dieci alberi piantati nel parco civico e dieci libri donati alla biblioteca comunale). La regola generale è che, se vogliamo «vendere la nostra eticità», le parole sono importanti, ma prima ci vogliono i fatti. Postare una foto o un video che ci vede protagonisti di un’azione di volantinaggio o di un convegno è più efficace di qualsiasi dissertazione teorica.
Il troppo stroppia
Come sempre, è bene non esagerare. Ricordiamoci che i nostri clienti «comprano» certamente la nostra personalità, ma prima di tutto la nostra professionalità. Se eccediamo possiamo suscitare una delle seguenti reazioni: «Ma questo perché non molla l’avvocatura e apre una onlus?»; «Ma questo perché la butta sempre sull’etica invece di approfondire le specifiche del progetto? Siamo sicuri che non ci stia nascondendo qualcosa?»; «Ho bisogno di uno che mi faccia un buon lavoro al giusto prezzo. Se voglio un francescano me lo vado a cercare in chiesa». Ricordiamoci infine che chi ci sceglie si sente bene quando è lui a sentirsi benefattore dell’umanità. Se gli sbattiamo in faccia la nostra infinità generosità potremmo farli sentire inadeguati ed egoisti, rendendoci così inconsapevolmente antipatici ai loro occhi.
Rispetto per gli altri
Nel mondo del lavoro eticità significa prima di tutto parlare bene dei propri concorrenti. Elogiare i nostri concorrenti o le persone con cui lavoriamo, o le aziende per cui lavoriamo/abbiamo lavorato ci consente di trasmettere sicurezza e positività. Accreditarsi infangando gli altri è Purtroppo basta poco, un sorriso ironico, una smorfia di disapprovazione, una frase sibillina: «Su quel mio concorrente, per carità, meglio stendere un velo pietoso». Come nel film Il divo di Paolo Sorrentino, anche nel marketing di se stessi si può citare la madre di Andreotti: «Se non potete parlare bene di una persona, non parlatene».