La toxic positivity dei social: il lato oscuro dell’ottimismo
Il nostro mondo è in preda a una crisi che riguarda la salute mentale. È questo il grido d’allarme lanciato dal World Economic Forum, che nei mesi scorsi ha riportato i risultati della ricerca Mental State of the World Report 2020 condotta da Sapien Labs in 8 paesi di lingua inglese.
Secondo quanto emerso dal sondaggio:
- più di un quarto degli intervistati rischia problemi di salute mentale a livello clinico;
- Singapore si è classificato al primo posto per salute mentale dei suoi abitanti, mentre il Regno Unito e il Sudafrica si sono classificati al livello più basso;
- i giovani sono i più a rischio.
Il Rapid Report pubblicato nel 2021 da Sapien Labs aggiunge altra carne al fuoco, sottolineando come lo stigma rispetto alla salute mentale sia ancora molto forte. Più della metà di tutte le persone che a livello globale hanno a che fare con rischi di salute mentale di livello clinico, non cercano aiuto. Le ragioni principali sono non sapere che tipo di aiuto cercare o essere convinti che cercare aiuto non farà la differenza. Negli Stati Uniti solo il 25% di coloro che non cercano aiuto non vuole che gli altri scoprano il loro problema.
L’atteggiamento più pericoloso per il benessere emotivo delle persone è quella che viene definita Toxic positivity: un atteggiamento iper-ottimistico che rifiuta qualsiasi tipo di emozione considerata negativa. La positività tossica fa cadere le persone in uno stato di negazione della realtà chiamato FONO (fear of a negative outlook o, in italiano, paura di una prospettiva negativa) che si esprime come un’euforia prepotente e immotivata, che ci porta a essere ottimisti a tutti i costi, e che ci costringe a reprimere le nostre vere emozioni.
La toxic positivity dei social media
Secondo il World Economic Forum, una persona su quattro sperimenterà problemi di salute mentale nella sua vita, costando all’economia globale circa 6 trilioni di dollari entro il 2030.
Problematiche di questo tipo sono la principale causa di disabilità e di insoddisfazione nei confronti della vita nei giovani tra i 10 e i 24 anni, eppure, a livello globale, i giovani hanno il minor accesso alle cure di salute mentale nell’arco della vita e in tutte le fasi della malattia (in particolare durante le prime fasi).
Il Forum ha lanciato una serie di iniziative per discutere i modi in cui gli attori pubblici e privati possono costruire un ecosistema per la promozione della salute e la gestione della salute mentale. E ha sottolineato come i social media siano uno dei principali “veicoli di trasmissione” di positività tossica.
Gli utenti dei canali social tendono a mostrare solo i lati positivi della loro esistenza, negando i problemi e le difficoltà, che invece sono un ingrediente della vita stessa.
La psicoterapeuta Elizabeth Beecroft ha parlato della tendenza ad assumere un atteggiamento “good vibes only”, secondo il quale le persone credono siano fondamentale mantenere sempre una mentalità positiva, non importa quanto sia difficile o stressante una situazione. Ma questo causa più danni che benefici. Questo tipo di mentalità si è diffusa ancora di più durante la pandemia: “Il nostro bisogno di controllo e di evitare l’incertezza – dice la Beecroft – ha giocato un ruolo importante nella diffusione della positività tossica. Per molti, la risposta a una pandemia globale è stata quella di essere eccessivamente positivi e ottimisti, il che si traduce nell’evitare di sperimentare le emozioni dolorose. I social media sono spesso un rullo compressore – dove le persone sono tipicamente più inclini a postare gli aspetti positivi della loro vita piuttosto che le realtà non proprio positive che tutti noi sperimentiamo a volte”. Durante il lockdown i social media erano saturi di messaggi che dicevano alle persone di “usare questo tempo saggiamente” o “imparare una nuova abilità”. Suggerimenti che sembrano innocui, ma che in realtà hanno creato una grandissima pressione sulle persone esortandole ad essere produttive e facendole sentire isolate, inadeguate o addirittura “difettose” se la loro realtà non corrispondeva a questi messaggi.
La soluzione va ricercata nell’Intelligenza Emotiva
Le emozioni che consideriamo negative, come paura, rabbia o tristezza devono essere “normalizzate” perché ci tengono al sicuro: ci forniscono una serie di informazioni utili per capire ciò che è importante per noi, quello per cui vale la pena lottare, gli obiettivi che desideriamo realizzare.
Negare le emozioni, al contrario, è estremamente pericoloso perché danneggia la nostra empatia, portandoci a ignorare le esperienze e i problemi degli altri (ad esempio ripetendo il classico adagio “guarda il lato positivo…” come antidoto contro qualsiasi problema). Inoltre, riduce le nostre opportunità di crescita, che spesso avviene proprio grazie alla nostra capacità di affrontare le esperienze difficili.
Infine, la positività tossica può farci sentire colpevoli o farci vergognare dei pensieri negativi che non riusciamo a controllare.
Sviluppare la propria Intelligenza Emotiva significa imparare a riconoscere le emozioni che stiamo provando e comprendere il messaggio che ci stanno inviando. Se ascoltiamo con attenzione ciò che i nostri sentimenti ci stanno dicendo, possiamo accumulare informazioni preziosi per prendere decisioni migliori per la nostra vita. Non possiamo scegliere che cosa provare, ma possiamo sempre permetterci di navigare le nostre emozioni, accettarle e acquisire gli strumenti che ci possono aiutare a rimanere centrati anche nei momenti difficili.