La tecnologia e il nostro cervello: alleati o nemici?
Come apprenderà la società del futuro? Come le nuove tecnologie stanno impattando su quelle che sono le nostre sinapsi neuronali? Siamo forse giunti alla quarta rivoluzione scientifica? Per il filosofo Luciano Floridi sì, perché la possibilità di ricevere e trasmettere dati ha modificato radicalmente la comprensione del mondo e di noi stessi. Saremo sempre più inforg che cyborg, nel senso che le nuove generazioni staranno sempre più immerse in un “ambiente informazionale” creato dall’Information and communication technology.
La tecnologia, in un ambiente basato sull’informazione, lascia sempre più porte aperte agli utenti che si trovano a vivere in quella che Floridi chiama infosfera, cioè una zona dove la barriera tra reale e virtuale è caduta completamente. Il digitale si diffonde e si confonde con l’analogico e sempre più saremo circondati da oggetti IT-enti, cioè che hanno insita la tecnologia dell’informazione, capaci di scambiare informazioni.
La mappa della società mondiale sarà così ridisegnata dal digital divide e verranno inevitabilmente rimarcate le divisioni generazionali, geografiche, socioeconomiche e culturali. «Se cambia la cultura deve però cambiare anche la maniera di intendere il mondo» puntualizza il filosofo. Siamo passati da un concetto di realtà immutabile e che è tale solo se si può sperimentare ad un concetto di realtà informazionale, cioè non più basata sui cinque sensi ma sull’interazione con essa.
Va da sé che se la società attuale si base sull’informazione, tutti devono essere messi nelle condizioni di riceverla e capirla.
Michel Serres afferma che «le nuove tecnologie ci hanno condotto ad accorgerci che il regno del soft è molto più importante di quello dell’hard». Oggi pensare significa compiere quattro operazioni: ricevere, trasmettere, stoccare e trattare l’informazione.
Abbiamo assistito al passaggio dagli SMS alla “spunta verde” di WhatsApp, dal profilo di MySpace a quello di Facebook, dal viaggio riservato in agenzia alle prenotazioni di appartamenti su Airbnb e dall’autostop a BlaBlaCar, per giungere all’affermazione che anche l’apprendimento passerà, inevitabilmente per le nuove tecnologie (ad esempio utilizzando i Google Glass) che permetteranno di sviluppare simulazioni e scenari interattivi e immersivi molto più veritieri, di sviluppare diversi livelli di conoscenza, di accedere alle informazioni in maniera semplice e veloce, di avviare una formazione on the road e un apprendimento on demand.
Stiamo parlando di realtà aumentata, la tecnologia che arricchisce la percezione umana attraverso l’uso di dispositivi mobili che manipolano le informazioni digitali per offrire all’utente un’esperienza in tempo reale. E questo avviene ad esempio quando si punta il tablet su un dipinto per ricevere informazioni sull’opera oppure in ambiti industriali, militari, o medici per la visualizzazione di oggetti virtuali o per simulazioni. Importante sottolineare la differenza tra realtà aumentata e realtà virtuale, perché la realtà aumentata permette l’inserimento di contenuti virtuali in uno spazio reale mentre la seconda crea spazi virtuali in cui immergersi.
Le potenzialità dell’utilizzo di questi nuovi dispositivi tecnologici sono elevate: in campo militare ai piloti è permesso di avere informazioni sul volo, sulla quota e sulla velocità indossando un casco interattivo. Anche in campo medico i progressi sono notevoli, così come in archeologia dove si può addirittura arrivare a ricostruire virtualmente i monumenti. Nelle scuole la sperimentazione delle classi 2.0 ha portato risultati importanti nell’utilizzo di tablet che hanno permesso un apprendimento innovativo, costante e continuo anche con gli alunni non presenti fisicamente alle lezioni.
Ma cosa accade al cervello esposto a questi nuovi ed avanzati dispositivi tecnologici? La multimedialità offerta da smartphone, computer e tablet modifica la struttura del cervello. In una ricerca dell’University College London e dell’Università DEL Sussex, è emerso che le persone che utilizzano frequentemente e/o contemporaneamente diversi dispositivi multimediali hanno una minore densità della sostanza grigia, in una particolare regione del cervello (la corteccia cingolata anteriore, responsabile delle funzioni di controllo emotivo) rispetto a coloro che utilizzano un unico dispositivo di tanto in tanto. Questo assottigliamento porta ad avere un minor autocontrollo e una maggiore impulsività, che sono associati alla curiosità verso le nuove tecnologie.
Nel suo post Is Google Making Us Stupid? Nicholas Carr, scrittore americano, sostiene che la neuroscienza moderna ha dimostrato che le pratiche abituali e la routine nelle attività di tutti i giorni possono realmente cambiare e modellare anche le strutture neuronali. Il cervello degli analfabeti, per esempio, è strutturalmente diverso da quello di persone che sanno leggere. Ad esempio Arko Ghosh, neuroscienziato, ha guidato uno studio sull’impatto della tecnologia Touchscreen sulla corteccia somatosensoriale presso l’Università di Zurigo, rilevando una maggiore attivazione di questa corteccia associata alla punta delle dita (una maggiore attivazione di un circuito neurale porta ad un miglioramento delle sue prestazioni) nei soggetti che avevano in uso uno smartphone rispetto a quelli che avevano un cellulare con una tastiera normale. Questo evidenzia come una nuova tecnologia possa apportare degli effetti al cervello a seconda della quantità di uso quotidiana.
I contesti, le strategie e le tecnologie per la formazione stanno dunque evolvendo a una velocità incredibile. Come abbiamo visto una comunicazione “always on”, il mobile computing, i nuovi ritmi di vita e di lavoro sono quanto le tecnologie hanno generato e queste hanno un impatto diretto su come le persone vivono, comunicano, apprendono. Nuovi fattori che stanno cambiando il modo di apprendere e di migliorare le performance delle persone. È un tema che dobbiamo prendere tutti sul serio, e sul quale non dobbiamo mai cessare di confrontarci.