La grammatica del nuovo mondo covid in 10 parole (per superare la paura e unire le forze)
Due anni di covid (tutto iniziò alla fine del 2019 per presentarsi in Italia il 30 gennaio 2020 con il caso dei due turisti cinesi) sono tanti. Anzi, sono tante parole. Sì, perché il nuovo mondo inaugurato dalla pandemia ha cambiato il modo con cui guardiamo al mondo, lo viviamo e lo raccontiamo. Così è nata la “Grammatica del nuovo mondo”, libro edito da Lupetti. Concentriamoci su dieci parole, tra aggettivi, sostantivi, sigle e nomi propri. Perché come sempre la storia la fanno le donne e gli uomini. E la si racconta anche con le parole.
A come Aurora
La prima parola della “Grammatica del nuovo mondo”, la più bella, è quella di Aurora, nata a Moncenisio nelle settimane seguite allo scoppio del coronavirus. Dopo anni in cui il Comune più piccolo del Piemonte e il secondo più piccolo d’Italia non vedeva una culla riempirsi, mamma Jonida partorì la bimba, Aurora Maria Perottino, appunto. Il paese fece festa, vedendo la luce risplendere nel tunnel della pandemia. Era il 24 marzo 2020: una data con un nome da ricordare.
C come capitano Arma
Era il 5 febbraio 2020, quando a seguito della scoperta dei casi di due passeggeri trovati positivi al coronavirus al momento dello sbarco a Hong Kong, scattò la quarantena sulla nave da crociera Diamond Princess. A prendersi cura dei 3.711 inquilini, di cui 35 italiani, nel porto di Yokohama in Giappone, fu il capitano Gennaro Arma. Fu l’ultimo a lasciare la casa galleggiante messa in isolamento fino al 27 febbraio. Orgogliosa di lui la moglie, Mariana Gargiulo da Sant’Agnello in Campania, orgoglioso di lui il nostro Paese che, per mano del presidente Sergio Mattarella, lo ha nominato commendatore al merito.
D come diffidenza
C’era una volta il galateo di Giovanni Della Casa. Con il coronavirus si è diffusa la diffidenza. Niente strette di mano, saluti sempre a distanza. Ha vinto, a tratti, la ritrosia ossia quell’atteggiamento – spiega il monsignore dalla Toscana – che «consiste in opporsi al piacere altrui, il che suol fare l’uno inimico all’altro, e non gli amici infra di loro». Nell’era della pandemia il prossimo è stato visto come un pericolo, possibile portatore di Sars-CoV-2. Non è difficile immaginare Della Casa mettersi le mani nei capelli mentre, dal cielo, guarda il nuovo mondo.
E come Elena
Elena Pagliarini, in servizio all’ospedale di Cremona, ha commosso tutti. È lei l’infermiera di 40 anni ritratta nella foto scattata da Francesca Mangiatordi, primario del pronto soccorso della città di Stradivari: alle sei di mattina, stremata dopo nove ore di lavoro, la donna provò a liberare la scrivania dalla tastiera del computer e, appoggiando la testa su un cuscino di fortuna, formato da un lenzuolo, cadde in un sonno profondo. Nomen omen: Elena significa “fiaccola”, perché il suo esempio illuminò (e continua a farlo) tutta l’Italia.
I come italiani
Mai così si tante volte il tricolore è stato esibito. È accaduto in occasione della giornata dell’Unità nazionale. La storia riannodò i fili. Era 17 marzo 1861, quando nel capoluogo piemontese Vittorio Emanuele II assunse il titolo di re d’Italia. Tanti anni dopo, in piena pandemia, dai balconi e dalle finestre moltissime bandiere con i tre colori a Torino e nel resto del Paese.
P come paura
“Pauravirus” è la paura del virus. Tuttavia, come detto dallo scrittore Gianrico Carofiglio, «bisogna usare la paura come uno strumento di lavoro per cambiare le cose e non lasciare che diventi una forza incontrollabile e distruttrice». L’esempio arriva dai banchi dell’istruzione. È la scuola elementare e media Maria Ausiliatrice di San Donato Milanese ad aver dato l’esempio: insegnanti e alunni, tutte le sere, si sono ritrovati in tempo di lockdown per condividere le emozioni. Nacque così la BN, la “buonanotte”. La BN era per tutti, perché – come spiegò l’hashtag utilizzato su Facebook – #smanonsiferma, alla lettera la «scuola Maria Ausiliatrice non si ferma».
S come speranza
Un domani è possibile. Ce l’hanno insegnato nonna Speranza e nonno Speranza: la prima è Alma Clara Corsini, uscita indenne dal coronavirus all’età di 95 anni nell’Appennino modenese; il secondo è Alberto Bellucci, guarito a 100 anni dal male dei nostri giorni all’ospedale di Rimini. Vinta la Spagnola negli anni Quaranta, vinto il coronavirus ai nostri giorni.
P come positivo
Prima della pandemia si cantava il “pensiero positivo”. A partire dalla pandemia dire “positivo” a qualcuno vuol dire farlo annegare nell’angoscia. È il paradosso del coronavirus: la sua furia assassina ha cambiato il significato delle parole. E non lo ha fatto per giocare con le figure retoriche: non c’è paradosso di Zenone che possa reggere il confronto con la parete verticale della pandemia.
RT come indice del contagio
Oltre che delle parole il nuovo coronavirus ha cambiato il significato degli acronimi. In epoca pre-covid “RT” indicava sul social media Twitter la condivisione di un “cinguettio” o tweet con i propri seguaci o follower. Tre lustri dopo, nel 2020, le lettere “RT” sono diventate pane per i nostri denti: serve, infatti, a descrivere la trasmissione del coronavirus.
S come smart working
C’è un prima e un dopo anche nel mondo del lavoro. Nel 2019, prima del nuovo mondo scoppiato con il nuovo coronavirus, c’erano in Italia 570 mila smart worker. Con il coronavirus sono diventati oltre sei milioni. È la rivoluzione del lavoro a distanza che combinato con quello in presenza rappresenta, ce lo dice la “Grammatica del nuovo mondo”, un modo sostenibile di vivere il lavoro.