In un mondo sempre più globalizzato forse dobbiamo essere più come Giano
Da buon appassionato della cultura romana, una delle divinità che mi ha sempre affascinato è Giano, il dio degli inizi, uno dei più antichi del pantheon italico, considerato dagli antichi il principio stesso della deità degli altri dèi, immanente e da sempre presente. Si potrebbero dire un sacco di cose su Giano, ma sicuramente la sua caratteristica più peculiare è l’avere due facce, simile un po’ a certe divinità induiste quali per esempio Brahma. L’iconografia che lo vede avere due volti ha una simbologia molto chiara: uno è rivolto al passato e uno è rivolto al futuro, poiché quella divinità li permea entrambi, ed in quanto immanente, è ben piantato nel presente.
Mi ha sempre fatto riflettere il messaggio sottile che questa divinità poteva dare ai nostri padri, e che di riflesso può dare a noi! C’è chi vive nel passato e chi vive invece proiettato nel futuro. Ne ho avuto una diretta esperienza quando per la prima volta ho incontrato gli Amish, negli Stati Uniti d’America. È una comunità molto particolare, della quale spesso purtroppo abbiamo un’idea errata. È risaputo infatti, al di là della loro forte fede cristiana, del loro rifiuto ad ogni forma di tecnologia ed innovazione. In realtà, non è proprio così, ma partiamo dal principio. Ho incontrato gli Amish durante un viaggio, in perfetto stile “on the road” lungo la celeberrima Route 66, che attraversa gli Stati Uniti da costa a costa. Avvisatili del nostro arrivo, ci accolsero facendoci pranzare con il tipico cibo americano di quella che sembra ormai un’era passata, quando il paese era ancora giovane, con il mito della frontiera e lo sguardo rivolto ad occidente. Quel cibo che, simile al “soul food” afroamericano, fu un un toccasana per il nostro stomaco così italiano e dunque in ogni caso a dura prova all’estero. Dopo qualche chiacchiera, nella quale la padrona di casa ci mostrò i suoi lavori all’uncinetto, ci spostammo fuori. La vista era magnifica: un agglomerato di fattorie, in mezzo al verde, alle terre coltivate e dove i calesse trainati da cavalli, o da asinelli per i bambini, andavano e venivano, ognuno assorto dai propri affari. Ci spostammo nella stalla, dove aiutando i nostri ospiti nelle mansioni quotidiane, cominciammo a discutere. La comunità chiusa che mi aspettavo, non esisteva, e se certamente quel paese Amish fosse abituato ai visitatori, si vedeva la genuinità nel loro attaccamento ad un peculiare stile vita ma anche nell’apertura verso il mondo esterno. Ci raccontarono che per la verità non rifiutano in toto la tecnologia, ma anzi cercano di utilizzarla il meno possibile, poiché ritengono che uno stile di vita più semplice riesca a crescere persone più vere, più felici e soprattutto che permetta loro di apprezzare di più anche le piccole cose. In poche parole, se serve telefonare al medico e chiamare l’ambulanza, lo si può fare, ma esiste un solo telefono in tutta la comunità e lo si usa solo per necessità o solo se non ci sono altre vie per comunicare. Non solo, si prendono aerei, se serve, anzi, ci sono persino degli Amish che lavorano in negozi di elettronica e vendono prodotti che però non utilizzeranno mai. Tra un discorso e l’altro, spezzato dalla loro abnegazione per il lavoro, mi azzardai a fare la domanda che più mi premeva, ma che anche avevo più remore a fare ai miei ospiti: “È tutto molto bello, ma non credete che negando il progresso e la tecnologia ai vostri figli neghiate loro anche delle grandissime opportunità?”
Un giovane padre di famiglia mi guardò pensieroso staccandosi un momento dal lavoro, facendomi capire che sebbene la domanda gli fosse già stata posta in precedenza, la prendeva sul serio.
“Non credo” disse. “I nostri figli, una volta adulti, sono liberi di lasciare la comunità, anzi, per un anno intero hanno il compito di farlo per poi decidere se rimanere oppure no. La maggior parte, torna! Tuttavia, mentre sono bambini, credo sia giusto lasciarli liberi di crescere nella natura, senza troppe interferenze umane, non credi che l’uso della tecnologia neghi ai vostri bambini di essere felici?”
Non c’era accusa nelle sue affermazioni, come non c’era nelle mie. Anche l’uso di “noi” e “voi” era semplicemente sinonimo di schiettezza senza fronzoli, seppur cortese.
Non mi aveva convinto del tutto, chiaro che se cresci da bambino con certi valori, allora l’incontro con il mondo esterno può essere uno shock tanto da tornare. Però quel che diceva aveva senso. Guardandomi attorno notai una bambina a piedi scalzi che tra il timida e il curiosa ci sorrideva. Non ricordo di avere visto altre volte bambini così spensierati e felici, ed anche gli altri, sembravano esserlo.
Capii che c’era verità nelle parole che il nostro ospite Amish ci aveva detto e mi portai a casa una visione del mondo completamente diversa. Certo, anche gli Amish capiscono di essere legati al resto della società umana: vivono tra di loro, commerciano con loro, hanno bisogno di loro. Io stesso, provando ad immaginarmi come Amish, capisco che non sarebbe stata una vita possibile per me: la mia malattia mi ha messo troppe volte nelle mani della scienza e della medicina, mi ha costretto a riporre troppe volte speranza nella ricerca e nelle scoperte future, tutte cose che il mondo Amish non contempla, e che deve cercare all’esterno. La mia malattia mi impone anche di usare la tecnologia come mezzo di lavoro, di divulgazione e molto altro, insomma, non potrei mai far progredire, nel mio piccolo, la società, con lavori di fisico e di forza.
Se tutti fossimo Amish non avremmo moltissime delle possibilità che abbiamo ora, la natura risulterebbe molto più crudele con noi, e sicuramente non potremo godere dei beni portati dal progresso. D’altro canto, però, sicuramente la vita Amish ci eviterebbe molti dei grandi problemi che ci troviamo ad affrontare, non esisterebbero: la povertà dilagante, la differenza tra classi sociali, la troppa urbanizzazione, i problemi ambientali e molto, moltissimo altro.
Probabilmente avevamo ragione quando parlando tra di noi riconoscemmo ad entrambe le culture pregi e difetti propri, e probabilmente tutto sta semplicemente nel capire quale tipo di vita sentiamo più nostra.
Ma questo non basta, sono sicuro che, se gli Amish hanno capito bene di essere solo una parte di un sistema più ampio, complesso, e spesso persino in contrasto con il loro modo di vivere, anche noi potremo imparare da loro molto. Il rispetto per la semplicità, per la natura, per i ritmi della Terra e del nostro corpo, perché no, magari anche per i ritmi del nostro spirito, che, come il nostro pianeta, può essere sovra-stimolato solo fino ad un certo punto, e che sicuramente per ogni età ha le sue proprie esigenze. Ma forse, molto meno poeticamente, culture come quella Amish, ma se ne potrebbero citare molte altre, dovrebbero farci riflettere sul tipo di progresso che vogliamo.
Probabilmente, se liberalismo e liberismo si sono dimostrati ottimi presupposti sui quali fondare il progresso, è d’altronde ben noto che spesso il potere da questo derivante assume un ruolo superiore al bene comune, al rispetto per l’ambiente e alla democrazia.
Probabilmente dovremo non più lasciare che ogni cosa si accresca fino al massimo del profitto possibile, per poi far seguito ad una profonda crisi, probabilmente dovremo impostare il progresso non più come solo un dato di fatto di una società libera, ma dovremo imparare ad indirizzarlo ed imbrigliarlo verso le questioni che veramente possono fare la differenza in termini di avanzamento umano per accontentarci di un più mite progresso in tutte quelle faccende che quotidianamente potremo continuare a fare come facciamo, in maniera meno efficiente, magari, ma in modo più salutare per noi e per il prossimo, proprio imparando dagli Amish come apprezzare le cose anche più banali.
Insomma, forse, chissà, dovremo come Giano avere un volto ben fissato sul passato, per apprendere, per farci ispirare, per mantenere tutto ciò che che va mantenuto, un volto che guarda verso al futuro, alle sue sfide, alle sue opportunità, ma senza voler bruciare le tappe, e avere infine dei piedi ben fissati nel presente, per un retto pensiero, retta intenzione e retta azione.
Forse un giorno lo capiremo…ma intanto, tutti noi possiamo fare del nostro meglio!