In Aristofane le prime tracce di empowerment femminile
“E allora se siamo un malanno, se davvero siamo un malanno perché ci sposate, ci impedite di mettere il naso fuori di casa e questo malanno lo custodite con tanta cura”. Un manifesto che può sembrare un’attualissima rivendicazione contro lo stereotipo della moglie e madre vincolata alle funzioni per cui sarebbe nata. La sorpresa è scoprire che si tratta di parole diffuse oltre duemila anni fa.
A pensarle è stato Aristofane, una delle più illustri firme della Grecia antica che, nella sua vasta produzione, inaugura un interessante filone dedicato proprio alle donne e al loro ruolo nella scena decisionale. In particolare sono due le commedie in cui emergono con forza gli attualissimi concetti di “sorellanza” e “intersezionalità” ovvero la “Lisistrata” e “Le donne al parlamento”. E, in un presente in cui l’opinione pubblica fa fatica a parlare di “ministre” e nel quale non abbiamo avuto, finora, una premier, tale contributo si rivela indubbiamente precursore.
Il primo punto da sottolineare è la fiducia nelle capacità altrui: “E quindi non stiamo a sprecare parole – si legge – e affidiamo loro la città, senza chiederci cosa faranno. Semplicemente, lasciamole governare”. Il contesto in cui si colloca “Le donne al parlamento” è a cavallo tra il quinto e il quarto secolo avanti Cristo, ovvero nell’epoca in cui vive l’autore, il quale immagina uno scenario alternativo alla realtà del momento. Un gruppo di donne matura la consapevolezza di volere avere maggiore voce in capitolo sulle sorti della città. E cosa decide di fare? Si travestono da uomini nella triste convinzione, purtroppo non rimossa completamente, che è il genere maschile a dare autorevolezza.
E così indossando i vestiti dei loro mariti si recano in aula e votano una legge che di fatto conferisce loro il dominio a livello urbano, in un periodo di grande difficoltà per l’intera comunità. Una volta conclusa l’assemblea, ecco l’inizio della leadership di Prassagora che, fingendo di aver appena appreso la notizia, progetta concretamente le nuove disposizioni. Qui affiora addirittura il filone del body shaming perché si ragiona sul fatto che gli uomini prediligono compagne che rispondono a una serie di parametri e giudicate di conseguenza più attraenti. Così ecco la soluzione: ciascuno deve giacere prima con coloro che reputa meno belle, una situazione sicuramente paradossale che degenera subito, ma butta delle basi importanti che si aggiungono a un sostrato precedente.
Circa dieci anni prima, nel 411 a. C., era stata la volta della “Lisistrata”, letteralmente “colei che scioglie gli eserciti” e in effetti nel testo viene contrapposta, in una visione forse eccessivamente dualistica, la bellicosità maschile alla conciliazione proposta dalle loro mogli. Queste ultime, per fermare la battaglia in corso tra Atene e Sparta, scelgono la via dell’astinenza, che durerà finché le armi non saranno deposte, e occupano l’Acropoli per disturbare le operazioni. Davanti a tanta determinazione, la virilità non è scossa soltanto dal suddetto ricatto, ma anche dal timore di lasciare spazio ad una categoria da loro ritenuta inferiore. Uno dei motivi per cui quote rosa e azioni a favore del women empowerment stentano a decollare ancora oggi.
“Se cediamo, se gli diamo il minimo appiglio – afferma spaventato Strimodoro – non ci sarà più un mestiere che, con la loro ostinazione, non riusciranno a fare. Costruiranno navi, vorranno combattere per mare e darci addosso come Artemisia”. Il riferimento è alla comandante che, come racconta Erodoto, si distinse nella flotta persiana di Serse
“Se poi si mettono a cavalcare – continua il corifeo – è la fine dei cavalieri. Per questo mestiere sono più che mai portate; salde in sella e non scivolano durante la corsa”. La comunità dei governanti ha paura di essere scalzata nelle sue attività principali, cosa che la mitologia aveva abbondantemente presagito con la figura delle Amazzoni, le temibili guerriere messe presto nel dimenticatoio.
In una società patriarcale, Aristofane ha il merito di aver voluto parlare di emancipazione, di gender gap, con ironia, senza dubbio, e inconsapevole delle teorie che avrebbe fatto capolino solo secoli e secoli dopo.