Impara a imparare: tutte le aziende vorranno lavorare con te
Se c’è una competenza da sviluppare per il proprio futuro professionale, è proprio quella di “imparare a imparare”. I knowledge workers sono stati i protagonisti dei primi anni Duemila ma con l’avvento delle tecnologie dimostrare (una qualche) conoscenza è però alla portata di tutti. Per dirla con Jacob Morgan, esperto di organizzazioni, uno smartphone è tutto ciò che serve per essere la persona più smart in riunione!
Non è difficile capire perché la capacità di imparare cose nuove e di applicarle a scenari in continua evoluzione diventerà merce molto ambita da chi si occupa di selezione del personale, perché è evidente che le aziende operano in contesti sempre più volatili, incerti, complessi e ambigui. Usando un acronimo inglese, non a caso nato in ambito militare, si possono definire ambienti ad alto tasso di VUCA (volatility, uncertainty, complexity and ambiguity) ovvero: volatilità, incertezza, complessità e ambiguità.
Per quanto molta retorica sui big data ci abbia proiettato in mondi dove tutti gli scenari possibili sono ipotizzabili e in qualche modo visibili, la realtà del presente – soprattutto dal 2008 in poi – ci racconta qualcosa di molto diverso. Titolari d’azienda con nessuna visibilità sugli ordini a venire, movimenti internazionali, istituzioni crollate, difficoltà nel credito. Soprattutto, un radicale cambiamento delle competenze richieste ai propri collaboratori.
Il secondo aspetto da tenere in considerazione infatti è la crescente automazione di molte professioni, almeno così come le conosciamo oggi. Statistiche diverse riportano dati differenti, ma è chiaro a tutti che molti lavori sono destinati a scomparire nel giro di qualche anno. Ma come si fa a imparare a imparare? E soprattutto, come può diventare uno stile di vita, sposando quello che viene definito life-long learning, cioè un percorso di educazione che non finisce mai, adeguandosi alle nuove esigenze nostre e del mercato?
La curiosità è sicuramente il motore dell’apprendimento, ma non basta se non è accompagnata da intraprendenza, capacità di superare la propria area di comfort e autodisciplina. La difficoltà risiederà proprio nel lasciarsi contaminare dai saperi altrui senza venirne sopraffatti. Il moltiplicarsi delle fonti e la loro autorevolezza sempre più flebile non aiutano. Come naturale conseguenza, crescerà l’importanza della reputazione e delle relazioni, nonché della fiducia.
Nello sviluppo della nostra professionalità non ci sarà più spazio per conoscenze inerti, specie se inapplicabili nella gestione e soluzione di problemi quotidiani. Quello che più importa è rendersi conto che non varrà solo per i neolaureati, ma anche e soprattutto per chi ha anzianità aziendale e professionali. Anzi, il Reverse mentoring potrebbe giocare un ruolo cruciale in tale processo di trasformazione. Ecco perché l’apprendimento continuo sarà sia un requisito fondamentale per qualunque collaboratore, ricercatissimo in fase di recruiting. Al tempo stesso, sarà compito del management incoraggiare un approccio di “test perenne” e una cultura del fallimento. Oltre, ovviamente, a promuovere programmi di formazione e sviluppo in tale direzione. Sempre che non si voglia scomparire o limitarsi a parlare di innovazione, senza di fatto porre le basi per attuarla.