Il mindset ottimale per crescere e migliorare
Spesso ci troviamo imbrigliati in situazioni che ci creano disagio e criticità, dalle quali ci sembra difficile uscire. Ovviamente, non sempre abbiamo il potere o la facoltà di cambiare le cose. Tuttavia, possiamo concretamente agire sulla percezione della situazione in cui siamo, semplicemente modificando il nostro atteggiamento mentale. Si tratta di agire sul proprio mindset, ossia un vero e proprio settaggio della mente, attraverso cui filtriamo e interpretiamo tutto ciò che ci accade.
Carol Dweck, psicologa e ricercatrice alla Stanford University, è considerata uno dei maggiori esperti al mondo sul tema del mindset. Nel suo saggio Mindset. Cambiare forma mentis per raggiungere il successo sostiene che il raggiungimento dell’affermazione sociale dipenda unicamente dal modo in cui l’individuo si approccia al contesto in cui ha modo di esprimere il proprio potenziale. La psicologa americana suddivide il mindset in due tipologie: statico e dinamico.
Il mindset statico, o mentalità fissa, fa riferimento all’atteggiamento mentale statico con cui gli individui considerano la propria intelligenza, le proprie abilità e capacità come qualcosa di scarsamente modificabile. Questo tipo di atteggiamento conduce spesso a rigidità mentale e a significative difficoltà di fronte al cambiamento o all’imprevisto. Gli errori sono tendenzialmente vissuti come fallimenti irreparabili, nei confronti dei quali sembra non essere contemplata alcuna soluzione. Non si tratta comunque di persone incapaci o prive di successo, ma la fatica nell’adattamento e nel cambio di prospettiva, nel lungo periodo, possono generare diversi problemi, soprattutto in un contesto sociale e professionale, come quello attuale, caratterizzato da cambiamenti sempre più rilevanti e repentini.
All’opposto, il mindset dinamico, o mentalità di crescita, è caratterizzato da apertura, flessibilità e desiderio di crescere, sperimentare ed evolvere. Questa forma mentis apre positivamente al cambiamento, interpretato come miglioramento, progresso, sviluppo. Gli errori e i fallimenti sono considerati uno stimolo ulteriore per procedere, fonti di insegnamento e spunti per cercare nuove e più efficaci strategie.
Le ricerche di Carol Dweck si inseriscono in un filone di studi che ha inizio oltre un secolo fa. Già nel 1911 il filosofo tedesco Hans Vaihinger ipotizzava che la realtà non fosse un’entità unica e solida, data una volta per tutte, ma semplicemente una finzione fra le tante disponibili, di cui ognuno sceglie la versione migliore per se stesso, quella che ritiene più utile ed opportuna. Idee, visioni e pensieri diversi conducono a comportamenti differenti. Se, ad esempio, riteniamo di essere persone estremamente capaci, determinate e votate al successo, con molta probabilità andremo a confermare con i fatti questa nostra convinzione. Se un insegnante ritiene che uno studente sia migliore di altri, questi sarà più facilmente portato a dimostrare di esserlo.
Su questo tema, uno degli studi più importanti e conosciuti prende il nome di “Effetto Pigmalione”, condotto negli anni Sessanta dallo psicologo Robert Rosenthal. Lo studioso sottopose i bambini di una classe di una scuola elementare a un test di intelligenza. Ne scelse poi alcuni a caso, segnalandoli alle maestre come coloro che si erano distinti con dei valori ben sopra la media, quindi effettivamente più intelligenti. L’anno successivo tornò nella stessa scuola chiedendo alle insegnanti se le sue predizioni fossero confermate. La risposta fu che i bambini segnalati erano davvero i più intelligenti, con ottimi voti oltre la media. Le maestre, certe dei risultati dei test dello psicologo, avevano modificato il proprio mindset, cominciando a rivolgersi agli alunni considerati i migliori con un atteggiamento diverso, incentivandoli e incoraggiandoli a sviluppare le proprie capacità e il proprio talento. Di fatto, pur senza alcuna evidenza scientifica di un livello di intelligenza superiore, il rendimento degli alunni selezionati migliorò considerevolmente.
La tematica del mindset si collega anche al concetto delle profezie che si autoavverano. Si tratta di previsioni, del tutto infondate da un punto di vista logico, che però si realizzano per il solo fatto di essere state espresse. In psicologia, una profezia che si autoavvera si ha ad esempio quando una persona, convinta che si verificheranno determinati eventi futuri, comincia ad alterare il proprio comportamento così da portare al verificarsi di tali eventi.
Le nostre convinzioni rappresentano una risorsa potente per la realizzazione dei nostri risultati, in qualsiasi ambito esistenziale. Avere un mindset ottimale, orientato cioè al credere fortemente di poter fare qualcosa, ci consente di accedere a risorse che ci metteranno nelle condizioni di poter raggiungere i risultati cui aspiriamo. Il vero segreto risiede quindi nell’approccio mentale, come anche un celebre aforisma di Henry Ford ricorda: “Che tu creda di farcela o non farcela, avrai comunque ragione”.
Le nostre credenze, in particolare quelle più radicate e profonde, possono rappresentare senza dubbio un’arma importante per il nostro successo personale e professionale, ma talvolta anche un enorme limite. Nella mia attività di consulenza mi capita spesso di incontrare persone che sostengono di essere fatte così, di non poter cambiare, di non riuscire ad avere un approccio diverso e più produttivo in determinate situazioni. Si tratta di affermazioni comprensibili: effettivamente, noi siamo il frutto delle nostre esperienze, dell’educazione e degli insegnamenti ricevuti, delle nostre relazioni. Tutto questo contribuisce, nel tempo, alla costruzione del mindset che in generale caratterizza il nostro stare al mondo. Per quanto un cambiamento importante e sostanziale del proprio approccio mentale non sia né facile né immediato, è comunque sempre possibile. Per attuare una simile trasformazione, occorre in primo luogo impegnarsi a riflettere su ciò che ci capita, tentando di attribuire nuovi e differenti significati agli eventi e alle circostanze. Alia Crum, psicologa docente alla Stanford University, afferma che “cambiare la tua idea su qualcosa può trasformare l’effetto che quella cosa ha su di te”. Siamo quindi noi, e non le situazioni, a dover cambiare. La responsabilità è nelle nostre mani: spetta a noi essere protagonisti del cambiamento, a partire dal nostro mindset dinamico, orientato alla crescita, allo sviluppo e all’espansione della nostra identità.