Il futuro dice viva l’azienda che sa creare prodotti su misura di cliente
Ci sono concetti che appartengono intimamente alla cultura imprenditoriale italiana. Pur essendo una peculiarità tutta del nostro territorio, voglio pronunciare il primo in inglese: lo faccio un po’ per provocare e un po’ perché questa è la lingua che oggi gli imprenditori italiani dovrebbero usare. Mi riferisco al concetto di prodotto “tailor made” (fatto su misura), forse la più forte peculiarità della nostra capacità produttiva manifatturiera, un’eccellenza italiana che è evidente nel settore delle macchine utensili per il packaging o per le lavorazioni speciali, dove il nostro Paese gioca un ruolo chiave nel mondo. Giusto per dare alcuni riferimenti concreti: negli ultimi anni, ad esempio, sono entrato in contatto con il Gruppo Coesia di Bologna, azienda che si occupa di settori come le macchine automatiche e soluzioni di processo industriale, operando in 33 paesi e fatturando di circa 1.429 milioni di euro (dato 2014) con più di 6.165 collaboratori. Una vera e propria eccellenza industriale italiana che su scale enormi disegna, progetta e taglia su misura macchine automatiche per clienti di tutto il mondo.
Se non bastasse, pensate a come l’Italia abbia declinato il concetto di automotive: ancora una volta il prodotto/brand con cui ha avuto più successo, mi riferisco banalmente alla Ferrari, non è quello delle grandi produzioni ma quello della piccola produzione e dell’auto costruita intorno al cliente. Più scontate e conosciute sono le nostre numerose eccellenze nel mondo della moda e del design, tipiche discipline dove il “fatto su misura” è quasi un must.
In ambito manifatturiero italiano, da questa prima peculiarità deriva tutto il resto, dalla personalizzazione del prodotto si passa velocemente a parlare del rapporto diretto tra chi produce (chi fa) e chi compra (chi usa) e non si può non menzionare il “chilometro zero” che elimina l’intermediazione della grande distribuzione, tipica di altre culture e geografie imprenditoriali.
Personalizzazione, disintermediazione e (g)località, sono tutti temi che appartengono al DNA dell’industria manifatturiera italiana, dalle piccole botteghe artigianali fino alle PMI e che sono temi particolarmente cari agli imprenditori del nostro territorio, un territorio che nel tempo, nei secoli, nonostante le tre rivoluzioni industriali ha continuato a proporre e promuove un atteggiamento più intimo e di prossimità tra il cliente e il produttore.
Questa è la storia della nostra cultura imprenditoriale in ambito manifatturiero, propensioni che da un lato hanno creato grandi eccellenze e una grande varietà industriale ma che dall’altro hanno frenato quel processo che gli anglosassoni chiamano di “scale up” che permette alle imprese di scalare e di raggiungere pubblici sempre più vasti.
Questo fino ad oggi, perché la nuova rivoluzione industriale – quella fondata su Internet of Things, robotica e fabbricazione digitale – promette di cambiare alcuni paradigmi tipici della progettazione, della produzione e della distribuzione globale. Grazie a queste nuove tecnologie, dovrebbe ridimensionarsi il concetto delle grandi filiere, dei grandi capitali e delle grandi distribuzioni, ambiti in cui l’Italia industriale non è mai stata un’eccellenza. Lasciando spazio a un nuovo modo di progettare, produrre e distribuire, permettendo di personalizzare il prodotto e un dialogo diretto tra consumatore e produttore, un paradigma nuovo e più affine alla cultura industriale italiana.
L’epoca che si sta aprendo potrebbe vedere le peculiarità dell’imprenditorialità italiana sposarsi perfettamente con un nuovo modo di intendere il prodotto, creando un mercato più attento e più affamato di personalizzazione, un mercato che saprà apprezzare quanto scritto nel DNA della nostra manifattura. Questa è forse la più grande opportunità per l’Italia da quando la storia del mondo ha imboccato la strada industriale.