Il benessere inizia a tavola. E anche la felicità!
Quando ho iniziato a cambiare il mio modo di mangiare, nel 1999, non avevo le idee chiare su molte cose. Stavo per laurearmi in medicina Veterinaria, avevo un approccio molto scientifico verso ogni aspetto della vita: tutto per me doveva essere dimostrabile e misurabile. Ero figlia del mio tempo.
Stufa di stare male mangiando carne di maiale, dopo aver anche perso molto tempo a capirne i motivi, pur non avendo trovato spiegazioni scientifiche semplicemente decisi di non mangiarla più. Non fu per me difficile eliminare salami, salsicce e prosciutti. Non mi feci molte altre domande, avevo 26 anni.
Migliorai il mio stato di salute e iniziai a capire meglio citazioni celebri, come “siamo ciò che mangiamo” o “fa che il tuo cibo sia la tua medicina e la tua medicina il tuo cibo”, scoprendo un mondo nuovo quando smisi di mangiare carne e gli altri cibi animali.
Sul maiale ho approfondito le mie conoscenze e scoperto che è nostro cugino, geneticamente cioè molto più vicino a noi di altri animali. Le antiche culture mediche arabe ed ebraiche già lo sapevano e lo evitavano anche per le patologie che passano facilmente dal suino all’uomo, che probabilmente limitavano il nomadismo obbligando il gruppo a fermarsi se c’erano troppe persone malate.
Una cucina tradizionale è fatta di ricette che conosciamo a memoria e che non dobbiamo consultare, di racconti dei genitori dei pranzi delle feste e di telefonate tra amiche che si scambiano idee per la cena: non è facile cambiare totalmente modo di fare la spesa, di alimentarsi, soprattutto quando si ama mangiare in compagnia e festeggiare ogni ricorrenza con una bella tavolata.
Ma i benefici sulla mia salute furono cosi eclatanti – soprattutto dopo aver tolto il latte e i derivati per un’asma seria che mi obbligava a prendere più farmaci al giorno – che decisi di proseguire e approfondire le mie conoscenze su come costruire una dieta vegetale equilibrata.
Ho studiato per diventare anche una terapista alimentare, tanto mi ha appassionato questa disciplina, nata con il suo ramo orientale in Giappone con George Osahwa e in Europa con il medico personale di Goethe e poi con Rudolf Steiner che già consigliavano di eliminare la carne dalla dieta umana.
La mia cucina, nata con le ricette della tradizione della mia famiglia, pugliese di origine, è cambiata completamente negli ingredienti, ma non il mio amore per il cibo che è parte fondamentale della vita condivisa con le persone a cui voglio bene.
Ho semplicemente cercato ricette diverse e sostituzioni per latte, burro, uova. Ho fatto incursioni e sperimentato nella cucina etnica (indiana, araba, greca, ebraica, giapponese) mescolandola con la mia cucina mediterranea, che ha il profumo della pasta fatta a mano e del pane di casa mia, e la luce e i colori della mia infanzia.
Ho provato infinite varianti di ricette tradizionali, che ho proposto a tante persone: l’attesa del responso, con il fiato sospeso, dopo il primo assaggio. Poi la frase: «però lo sai che è proprio buono?» mi ha incentivato ad andare avanti, a prendere decisioni su tutto quello che ora è diventato il mio progetto di cucina, ma soprattutto di benessere e di vita.
Un atto di amore, per tutte le persone e gli animali che ci accompagnano in questa vita. Una cucina leggera per me, anche per la coerenza che mi ha portato ad essere un medico veterinario (l’ho deciso a sei anni!).
Prendersi cura della nostra salute per stare meglio, per pensare in modo diverso, per avere la mente libera di occuparsi di ciò che ci piace e che ci rende felici.
Vivere vegan si può, ha numerosi vantaggi per il nostro benessere, non è affatto difficile se riusciamo a costruire la nostra alimentazione con pochi ma fondamentali cibi, che sono alla base di tutte le cucine tradizionali, di tutto il mondo: i cereali, le verdure e i legumi, e i condimenti di buona qualità, di cui noi siamo cosi ricchi.
Pensiamo ai cereali, per cominciare. Ogni Paese, addirittura regione, ha il suo di riferimento: nelle zone umide non a caso si usa proprio il riso, che favorisce la difesa dall’umidità, come in Asia e in Oriente, e nella nostra pianura padana. Nelle zone ancora più umide si è diffuso il miglio, che letteralmente strizza l’umidità dal nostro corpo, nelle zone fredde il grano saraceno, che dà invece calore, nelle zone con una forte escursione termica la quinoa che protegge i vasi sanguigni dallo stress delle temperature molto basse di notte e molto alte di giorno. E poi il mais in sudamerica, dove la popolazione lo utilizzava in pieno: oltre a mangiare le pannocchie infatti e ricavarne zucchero, facevano bevande alcoliche da spighe, foglie e gambi, nutrivano il bestiame e ricoprivano i tetti delle case. Non ultimo, il farro, in Italia e nell’impero romano, che nutrì l’esercito conquistatore delle terre del mondo allora conosciuto a farro e fagioli!
Il cereale non raffinato è la base dell’alimentazione tradizionale di tutte le culture: tanto più ci si allontana dallo schema cereale-verdure-legumi-condimenti di buona qualità – e noi siamo la terra dell’olio di oliva – tanto più ci si allontana da un percorso di benessere.
Metà del mondo ancora oggi è molto vicino a questo schema e non consuma latte. In queste zone erano molto meno frequenti le malattie gravi come quelle tumorali o quelle degenerative, mali che affliggono la cosiddetta società del benessere come ha verificato The China Study, il piu importante studio epidemiologico mai realizzato, durato 27 anni e realizzato in collaborazione con varie università. Ora però stanno comparendo nella popolazione giovane, che ci imita nei nostri errori alimentari e inizia a conoscere il tumore (alla mammella nella donna e alla prostata nell’uomo) e le malattie degenerative, compreso il diabete, stimata malattia del nostro futuro.
Non occorre per tutti essere vegani, ma avere qualche consapevolezza in più nel valutare cosa mangiamo e di cosa abbiamo davvero bisogno, nel rispetto della nostra salute, di quella di tutti gli esseri viventi e delle risorse del nostro unico pianeta.