I giovani fanno impresa e aprono startup. Ma non hanno una formazione adeguata: chi vuole aiutarli?
È passato un anno da quando tre soci hanno fondato una startup e bisogna quindi passare dalle previsioni ai consuntivi. Tolte soddisfazioni personali, gratificazioni per aver messo in moto processi di produzione innovativi, pacche sulle spalle e numero di testate giornalistiche e blog che hanno parlato del progetto, è il momento di fare i conti con la realtà. La startup soddisfa veramente le previsioni? Il piano economico-finanziario è efficace?
Ho fatto un esempio immaginario, ma in rete si legge spesso di casi di giovani imprese in difficoltà già nel primo anno, e questo nonostante le agevolazioni fiscali concesse alle startup.
Che succede? Va detto che nel panorama delle nuove giovani imprese, oltre ai (pochi) casi fortunati di chi viene acquistato da grandi holding o finanziato da benefattori, c’è uno sciame di realtà che punta tutto su se stesso, sulla propria idea e su ciò che sa fare. Persone dall’atteggiamento creativo – nell’imprenditoria di oggi è quasi una condizione necessaria – che hanno deciso di inventarsi un lavoro. Ma sono preparate ad affrontare gli aspetti di gestione della loro nuova impresa? E come risolvono tutte le necessità che vanno oltre quella fantastica idea di business che hanno avuto?
«Il primo anno è stato di apprendistato, per scoprire i costi e decidere quanto valessero economicamente i nostri lavori. Ci è servito per fare portfolio, per capire i meccanismi e per lanciarci realmente sul mercato dal secondo anno». Così racconta Daniel Bedusa di Inventori di Mondi, giovane agenzia multimedia romana che ha visto nella realizzazione di progetti di comunicazione innovativi la possibilità di fare impresa. «Diciamo la verità, purtroppo qui in Italia è complicato entrare nel mondo del lavoro senza avere le spalle coperte. Già dal primo anno ti ritrovi a versare quasi la metà del tuo fatturato in tasse. Bisogna esser bravi a differenziare la propria proposta e a creare un network che permetta di soddisfare un’ampia quantità di richiesta».
http://vimeo.com/inventoridimondi/thinknew
Già, le spalle coperte, sembra proprio che il caso sia decisamente standard. Passano in secondo piano i discorsi su strumenti innovativi, proposte strabilianti, creatività da premio e ci si ritrova improvvisamente con i piedi ben saldi a terra.
Ma vale la pena di dare la colpa al sistema? Atteggiamento troppo popolare e per nulla risolutivo. Se è vero che il successo di un’idea arriva quando incontra una necessità sul mercato ancora non soddisfatta, allora forse qui c’è un grande bisogno, ed è quello di formazione. È innegabile infatti che nessuna tipologia di formazione già sul campo oggi soddisfi la necessità che le nuove startup avvertono nell’identificare e gestire tutti gli aspetti extra-creativi della propria iniziativa. Il sistema formativo italiano è obsoleto e non è possibile pensare che un 25enne che già lavora si iscriva un corso universitario di economia aziendale o marketing: verrebbe meno la scelta di impresa che ha fatto.
Qualcosa esiste, ribolle, ma si tratta di operazioni sul campo, pratiche: incubatori, fablab, hub di imprese. Ottimi, ma non sufficienti. E allora? Difficile capire come realtà di formazione che hanno fatto fortuna nell’ultimo trentennio con discipline creative e management oggi non si rendano conto che deve essere pensata una suite di conoscenze complementari a quelle creative, che approfondiscano gli aspetti di gestione d’impresa. Soprattutto ci si chiede come facciano a non considerare tali necessità come leva di possibili profitti.
Va anche ammesso che tentativi di tanto in tanto se ne vedono, ma la soluzione non può essere costituita da sporadici appuntamenti in forma di workshop. È sicuramente necessaria una formazione che cammini con la nuova impresa, con la startup, che diventi uno “step di lavoro” senza sottrarre operatività. Una formazione comunque creativa ma che permetta di arrivare a capire come una proposta di mercato vada valutata al di là dell’innovazione che può procurare a chi ne usufruisce.
Vanno coinvolti come formatori imprenditori innovativi, visionari che sanno guardare al profitto non solo come propria soddisfazione ma come l’indice che misura l’efficacia di ciò che si fa per il mercato. Riflettere sulla formazione per le nuove imprese sembra banale, ma non lo è. E potrebbe evitare che quelle startup che ogni anno chiudono siano le stesse fondate l’anno prima.
Perché al di là dei sogni, fare impresa è l’atto meno filosofico che ci sia.