Guadagna la fiducia del capo e impara a gestirlo, in cinque mosse
Siamo abituati a pensare la leadership verso il basso. Il modello prevalente è quello in cui il capo gestisce i propri collaboratori. D’altra parte la gerarchia aziendale è studiata per identificare chi dirige e chi esegue, chi deve prendere decisioni e chi è chiamato a metterle in pratica. Un concetto nato oltre cento anni fa e sostanzialmente ancora valido. Possiamo ipotizzare che rimarrà valido anche in futuro, almeno fino a quando le aziende saranno dotate di un organigramma simile a quello attuale.
Il lavoro però è cambiato, il tempo si è compresso, la competizione si è estremizzata, gli scenari mutano con rapidità, i collaboratori sono più preparati ed esigenti. Si richiede maggiore flessibilità per avere una capacità di risposta agli eventi più rapida ed efficace. Per quanto il tradizionale meccanismo decisionale top-down rimanga ancora oggi valido, occorre prendere atto che non può funzionare da solo.
Secondo John Kotter, uno dei massimi esperti di management, uno dei problemi più diffusi nelle organizzazioni risiede nella tendenza dei collaboratori a sopravvalutare il raggio d’azione di pertinenza del proprio capo. Il focus tradizionale della relazione capo-collaboratore è centrato sul rapporto di dipendenza. Una nuova cultura manageriale sposta questo focus su un rapporto di interdipendenza, in cui fra capo e collaboratore si instaura una relazione di fiducia e influenza reciproca.
Gestire il proprio capo significa anzitutto considerarlo un’opportunità. Molte delle nostre possibilità di crescita professionale e soddisfazione nel nostro ruolo, in fondo, dipendono da lui. Come poter gestire efficacemente (e senza esagerare…) la relazione con il proprio capo? Ecco di seguito cinque consigli:
- Per prima cosa, sforziamoci di assumere la sua prospettiva, il suo modo di interpretare le situazioni. Come ragiona? Qual è il suo stile operativo? Come affronta i problemi? Quali sono i suoi obiettivi, professionali e personali? Una risposta a queste domande rappresenta senza dubbio un buon punto di partenza.
- Cerchiamo di rendere il nostro stile compatibile con il suo. Si tratta, in sostanza, di accordare la nostra modalità di affrontare il lavoro con la sua. Molto probabilmente apprezzerà il nostro sforzo di avvicinarci al suo modus operandi.
- Preoccupiamoci di non portargli solo problemi, ma anche la proposta di alcune possibili valide soluzioni. La proattività nella risoluzione di problemi può costituire uno strumento importante per accrescere la nostra credibilità nei suoi confronti.
- Attendiamo il momento opportuno per parlargli, così sarà più propenso ad ascoltarci. Non tutti i momenti ovviamente sono buoni: saper attendere quello giusto è indice di attenzione, osservazione e intuizione.
- Impariamo a negoziare. È importante valorizzare ogni nostra proposta secondo il principio win-win, mettendo bene in evidenza il vantaggio reciproco che ne può derivare.
Spesso i capi giudicano i collaboratori in base alla propria percezione, ottenendo così da essi esattamente ciò che si aspettano di ottenere. Chi si attende che mostrino iniziativa, lascerà loro il giusto spazio per attivarsi. Chi li ritiene pigri e apatici, li inquadrerà in modo così rigido da non consentire loro mai di oziare.
Lo stesso meccanismo è in azione anche nella gestione del capo. Se la nostra percezione è negativa, adotteremo un atteggiamento che lo allontanerà da noi. Se lo consideriamo una minaccia, probabilmente ci comporteremo in modo tale da confermare tale percezione.
È importante quindi partire con il piede giusto. Presumere che il nostro capo sia una persona positiva, attenta ai bisogni dei propri collaboratori e pronta a valorizzare i loro talenti: un simile atteggiamento ci consentirà di stringere con lui un rapporto soddisfacente e reciprocamente vantaggioso.