Ora che possiamo raccontarci (ogni giorno) online, puntiamo a riempire la Rete di storie splendide
No, non è questione di essere ottimisti o pessimisti, non si tratta di dividersi fra chi il mondo in vertiginoso mutamento lo beatifica e chi invece lo demonizza. La vera grande differenza – paradigmatica e pragmatica, filosofica e comportamentale, mentale e vitale – è quella che passa fra chi lavora sempre sulle possibilità e sui margini di miglioramento e chi invece no.
In questo senso credo si debba riprendere Building Global Community, il manifesto proposto poche settimane fa da Mark Zuckerberg. Se conviene considerarlo con grande attenzione non è soltanto perché se c’è uno accreditato ad avanzare idee sul futuro prossimo/ istantaneo è quello che ha messo al mondo un fenomeno come Facebook che in dieci anni è passato da zero a quasi due miliardi di esseri umani coinvolti. A essere evolutivamente importante è che della sua creatura Zuckerberg si propone di superare i limiti, i problemi, le disfunzioni. È un’attitudine che fa tutta la differenza del mondo e che ciascuno dovrebbe avere in ogni campo della propria esistenza, da se stesso alle relazioni sentimentali, dal lavoro alla conoscenza.
Personalmente provo da sempre sostanzioso entusiasmo per Facebook, per i social, in generale per il mondo dove tutto e tutti si connettono con tutto e tutti: provo entusiasmo perché per la prima volta nella storia dell’umanità decine di milioni di umani – non piccole avanguardie – hanno la possibilità di esprimersi e condividere idee, progetti, stati d’animo, sentimenti, squarci della propria biografia in diretta. Ma ora credo sia arrivato il momento di fare un grande salto avanti, ed è significativo che un grande innovatore come Zuckerberg invece di arroccarsi nella propria fortunatissima impresa voglia reinventarla.
La prima delle sfide è quella da lui evidenziata: creare una nuova, più ricca relazione fra social e sociale, che fin qui sono state due rette parallele che viaggiavano ognuna per la sua strada. Zuckerberg vede che il mondo globale si sta affermando a scapito delle particolarità –innescando la reazione aggressiva di tante identità legate al locale e/o al passato – e che i social non incidono sulle dinamiche sociali, e si pone l’ambiziosissimo obiettivo di riposizionare in questo senso Facebook.
Ma l’impresa che a me sembra ancora più maestosa è un’altra ancora: finora abbiamo magnificato la condivisiva rete di relazioni e connessioni che Facebook e i social hanno generato, adesso tutto questo deve alzare l’asticella e valorizzare la qualità dei contenuti. Ho fin qui detto e scritto più volte che la natura non entusiasmante – per usare un eufemismo – della maggioranza dei post e dei materiali che girano in rete è il prezzo da pagare al fenomeno senza precedenti di decine di milioni di umani che ogni giorno scrivono e postano: ne sono ancora assolutamente convinto, ma ora è il momento di evidenziare, favorire, valorizzare la qualità delle idee, dei post, dei materiali e delle stesse informazioni. È un’impresa che riguarda non semplicemente Facebook ma l’intero universo della comunicazione, delle relazioni, dei linguaggi, dei nostri stessi modelli di percezione e di conoscenza.
Non so come i social possano, attraverso i loro algoritmi, creare le condizioni per spingere chi posta a lavorare sui propri margini di miglioramento: ma so che se il passaggio da pubblico passivo a produttori di contenuti è stato uno dei fenomeni più importanti della storia umana, ora abbiamo vitale necessità del superiore passaggio da produttori di contenuti a produttori di contenuti eccellenti. Non sarà facile, non avverrà in un giorno, certamente non riguarderà tutto d’un colpo la maggioranza dei fruitori dei social, ma questa è la vera grande impresa che abbiamo davanti.