Gli “sdraiati” in Cina potrebbero innescare un cambiamento sociale globale
Stiamo assistendo a grandi trasformazioni sociali in tutto il mondo. Le grandi dimissioni in Occidente, gli “sdraiati” in Cina, la disillusione verso un futuro che non offre speranze. Che direzione prenderà questo malessere? Intanto in Cina, per la prima volta in sessant’anni, i morti hanno superato le nascite. Quale futuro per la “fabbrica del mondo”?
È la fine del 2021 e un trentenne cinese, Luo Hauzhong, un bel giorno decide di lasciare il suo lavoro di operaio per viaggiare in bicicletta. Racconta la sua scelta sul suo blog (poi censurato) dal titolo “Lying flat justice” ovvero sdraiarsi è giustizia. Un modo di vivere lontano dal classico stereotipo a cui siamo abituati a pensare, cinesi lavoratori instancabili, fabbrica del mondo. Intervistato dal New York Times, Luo ha poi specificato il contenuto del suo post. “Quando dico sdraiato, non intendo non fare nulla ogni giorno. Stare sdraiati è uno stato mentale, sentire che alla fine molte cose che facciamo non sono degne della nostra attenzione ed energia”. Le grandi dimissioni in Occidente e il Tangping in Cina (gli sdraiati), evidenzia un minimo comune denominatore. La cultura dominante basata sul superlavoro, competizione e sacrificio – sul quale la nostra società è stata costruita –, sta vacillando. Intanto sono usciti i dati del 2022 e per la prima volta in sessant’anni, il PIL è cresciuto solo del 3% (il dato peggiore dal 1976) ma soprattutto, i morti hanno superato le nascite. Cosa significa tutto questo? Ne abbiamo parlato con Jean Louis Rocca, professore di sociologia al Centro di ricerche internazionale Science Po di Parigi che è stato docente all’Università di Pechino e autore di numerosi saggi sulla Cina.
Professore, qual è stata l’evoluzione della società cinese che ha portato a registrare fenomeni come il Tangping?
All’inizio la società cinese era composta solo da contadini poveri e cittadini che stavano leggermente meglio dei contadini e poi c’erano i quadri di partito benestanti. Oggi abbiamo contadini trasformati in operai, gli abitanti delle città trasformati in classe media e la classe dirigente. Il recente movimento Tangping è il frutto del cambiamento della società cinese, l’aumento del reddito ottenuto in questi anni, l’accesso all’istruzione, la comparsa della società dei consumi e del tempo libero. Oggi i giovani cinesi dicono basta alla società basata sulla competizione, lavoro duro, ansia per il successo sociale. Che vantaggi traggono i giovani cinesi dal duro sacrificio? Preferiscono lavorare meno, abbassare lo stile di vita, non sposarsi, non avere figli e godersi più il presente.
La politica e la società cinese è pronta per un cambiamento di questo tipo?
I cinesi sono spesso ambigui su questi temi. Da una parte hanno la società incentrata sulla competizione fin dalla tenera età, ossessione del denaro e del consumo, la voglia di “progredire” socialmente, ma dall’altra parte faticano a sopportare la pressione sociale e quindi sono critici. Niente di nuovo, lo facciamo anche noi in Europa. Critichiamo la società dei consumi, ma intanto continuiamo ad alimentare il sistema.
Intanto la politica cinese deve fare i conti con il 20% di disoccupazione giovanile e ben undici milioni di laureati disoccupati. Come legge questi dati?
Il problema è che la Cina sta attraversando una transizione da un’economia basata su massicci investimenti ed esportazione di prodotti a basso valore aggiunto a un’economia basata su consumi interni. Se la classe media cresce aumentano anche i consumi, è ovvio. Ora, se punti su un alto livello d’istruzione, ma continui a produrre prodotti con basso valore aggiunto, hai un eccesso di lavoratori qualificati e questi lavoratori dovrebbero accettare lavori mal pagati che non vogliono fare. Questa generazione si sente socialmente in ritardo rispetto ai loro genitori, non possono comprare appartamenti, sposarsi, avere figli e allora registriamo fenomeni come il Tangping.
Che implicazioni ha tutto questo per l’Occidente?
Potrebbe essere un bel problema intanto per la Cina. Se mettiamo insieme la disoccupazione, il declino della classe media e la messa in discussione di un modello (Tangping), diventa una bella sfida per il Partito Comunista che dovrà essere in grado di trovare posti di lavoro e proteggere la popolazione. Se falliranno ci saranno problemi anche per l’Europa che potrebbe ricevere molti migranti dalla Cina.
Questa “ribellione sociale” la registriamo anche in Occidente, le grandi dimissioni in Europa e Stati Uniti, anche in Italia si fatica a trovare personale per lavori come camerieri, cuochi etc.
Penso che quello che accade in Italia si inserisca in questo malessere globale che vede un capitalismo che non fa più sognare le persone. Accadde la stessa cosa negli anni Sessanta e Settanta quando i giovani di allora non volevano più sottostare alle regole del gioco del successo sociale. Anche in Cina, il sogno di raggiungere la “classe media” e fare parte del sistema, durerà ancora poco.
Alla luce di questi cambiamenti sociali, pensa che la Cina riuscirà a rimanere una potenza mondiale mantenendo un sistema misto, partito unico comunista con modello capitalista?
Dopo il movimento del 1989, possiamo affermare che i cinesi e il Partito Comunista, hanno firmato una sorta di contratto: accettiamo il partito unico a condizione di avere prosperità. Il contratto è stato rispettato dagli inizi degli anni ’90 fino agli inizi del 2010 perché è indiscutibile, i cinesi hanno migliorato il loro tenore di vita. Poi è arrivata la disoccupazione, le privatizzazioni (pensioni, sanità, istruzione), corruzione della classe dirigente e questo contratto di fatto è venuto meno.
C’è da osservare però che Xi Jinping, è stato riconfermato alla guida del Paese e del partito, probabilmente alla popolazione va ancora bene questo sistema?
La popolazione cinese non ha alcun interesse a cambiare il sistema, con cosa poi? Elezioni? Le elezioni potrebbero portare al potere persone ancora più corrotte, più liberali in economia che potrebbero peggiorare la situazione, quindi, non vedo alcuna alternativa politica possibile al momento. È vero che la classe media vuole più libertà, ma non è disposta a rovesciare il tavolo. È una classe sociale progressista, ma conservatrice allo stesso tempo.