La felicità o infelicità sul lavoro condiziona ogni singolo aspetto della nostra vita
Trascorriamo gran parte delle nostre giornate sul luogo di lavoro.
Il lavoro oggi non ha più esclusivamente una funzione atta a procacciarci quello che ci serve per vivere, ma è anche una fonte di autorealizzazione, espressione delle proprie potenzialità, contributo costruttivo al mondo, luogo in cui poter intessere relazioni umane e professionali positive, collaborative, atte alla crescita interiore e professionale.
Il lavoro, d’altro canto, non è l’unico contesto in cui poter realizzare se stessi ma, secondo il fondatore della psicologia positiva, il professor Martin Seligman, esistono anche altri elementi fondamentali per il nostro benessere: la coltivazione di emozioni positive, il coinvolgimento pieno in attività dense di significato per noi, un senso di realizzazione profondo che si può acquisire in diverse aree di vita.
Nel contesto specifico degli ambienti di lavoro, Gallup World Poll ha condotto una ricerca per capire quali siano le professioni che possono rendere più felici le persone. Si è partiti dalla constatazione che il benessere economico e l’industrializzazione non vanno di pari passo con livelli crescenti di benessere psicofisico e felicità. Si è rilevato che gli operai di ogni settore industriale, manifatturiero, edile, dell’estrazione, dei trasporti, della pesca, dell’agricoltura, forestale, riferiscono livelli di felicità complessivi più bassi in tutte le aree del mondo, con un valore medio di 4,5 su 10. Al contrario le persone che si definiscono manager, executive, impiegati, professionisti riportano livelli superiori di felicità, con una media di 6 su 10. Il quadro si riferisce non solo a una valutazione complessiva della vita quotidiana, ma anche alle esperienze emotive professionali di ogni giorno. I colletti bianchi sperimentano stati emotivi più positivi, sorrisi, risate, divertimento e meno vissuti negativi, preoccupazione, ansia, stress, tristezza, rabbia. Queste statistiche descrittive rappresentano una media che appiattisce le differenze, ma la situazione resta simile anche quando si tengono in conto le diversità di educazione, reddito, età, sesso, stato civile e affettivo. La situazione dei professionisti, secondo questa ricerca, e la sua relazione con il benessere psicofisico appare molto complessa. I professionisti, in genere, hanno un livello inferiore di felicità rispetto agli impiegati a tempo pieno. Questo pare dipenda molto dalla parte del mondo in cui vengono effettuate le rilevazioni e dal tipo di misura stessa del benessere.
Nella maggior parte delle nazioni sviluppate la libera professione è associata a una valutazione più elevata della propria vita, ma a maggior emozioni negative quotidiane, ansia, stress, preoccupazioni. In sintesi: avere una professione autonoma sembra molto soddisfacente, ma stressante.
Non avere un lavoro, invece, come facilmente intuibile, è molto deleterio per la salute psicofisica. Tale constatazione vale in ogni parte del mondo. Le persone con un impiego valutano la qualità della loro vita in modo nettamente superiore rispetto ai disoccupati. In aggiunta, i disoccupati riportano circa il 30% in più di emozioni negative nella loro vita quotidiana.
Come dicevamo, il ruolo del lavoro non è semplicemente quello di fornire un salario, ma anche una serie di benefici non monetari, lo status sociale, delle relazioni, una struttura per la propria giornata, degli obiettivi, un significato, un senso di utilità e realizzazione, che nel complesso influiscono abbondantemente sulla felicità. Da questa ricerca emerge infatti che, nonostante l’essere umano tenda ad adattarsi alle situazioni, alla disoccupazione difficilmente ci si riesce ad adattare. Inoltre, pare che gli effetti negativi sul benessere della disoccupazione continuino anche dopo che si è trovato un lavoro. E l’esperienza dell’assenza del lavoro può essere devastante non solo per la persona direttamente coinvolta, ma anche per quelle che stanno intorno: amici e parenti.
Quali sono le misure specifiche che indicano la soddisfazione al lavoro?
Secondo il Gallup Wolrd Poll i lavoratori più soddisfatti si trovano nel Nord e Sud America, in Europa, in Australia, in Nuova Zelanda. L’Austria si colloca al vertice con il 95% delle persone soddisfatte, seguita da Norvegia e Islanda. Si riscontra una moderata correlazione (0,28 rispetto ad un massimo di 1) tra soddisfazione per il lavoro e valutazione globale della propria vita. In base alla European Social Survey le persone che hanno un lavoro meglio remunerato sono più soddisfatte e felici della loro vita e del loro lavoro, anche se intervengono in questo anche numerosi altri fattori.
Il bilanciamento vita privata e professionale è un fattore predittivo forte della felicità. A esso si aggiungono: la varietà del lavoro, la possibilità di apprendere cose nuove, il livello di autonomia, la sicurezza del lavoro, il capitale sociale, che si misura nel sostegno che si riceve dagli altri dipendenti, sono correlati positivamente alla felicità. I lavori che, invece, comportano rischi per la sicurezza, la salute, il benessere psicofisico sono associati a bassi livelli di felicità. Da questo è possibile dedurre verosimilmente che i Paesi che garantiscono sane e sicure condizioni di lavoro forniscono una migliore qualità del lavoro stesso e con esso dei benefit non pecuniari.
Alti livelli di soddisfazione al lavoro possono celare bassi livelli di coinvolgimento. Le persone altamente coinvolte complessivamente nel lavoro risultano meno del 20%, il 10% in Europa e ancor meno nei Paesi asiatici. La differenza tra i risultati sulla soddisfazione al lavoro e il coinvolgimento potrebbero essere dovuti a questioni legate agli strumenti di misura o al fatto che vengono misurati aspetti diversi della felicità professionale. La soddisfazione al lavoro si potrebbe ridurre alla sensazione di contentezza relativa al proprio lavoro, mentre il coinvolgimento attivo richiede che le persone siano positivamente assorbite da quanto compiono al fine di beneficiare gli interessi aziendali.
La relazione tra lavoro e felicità, in ogni caso, è complessa e a due vie. Non solo il lavoro può contribuire a diventare felici, ma la stessa felicità può aiutare a vivere il lavoro in modo diverso, più positivo, a essere più produttivi e contribuire maggiormente alle migliori performance dell’intera azienda. Essere felici al lavoro, quindi, non è solo una questione personale, ma aziendale ed economica.