Fare rete per l’Italia: parla Davide Dattoli
Quanto sia difficile fare impresa nel nostro Paese è tristemente noto, ma a rallentare lo sviluppo non sono soltanto burocrazia, costo del lavoro e altri fattori contingenti. Manca soprattutto la capacità di costruire relazioni, collaborazioni e reti di imprese e competenze. Qualcuno lo ha capito già da tempo e sta lavorando in questa direzione, come Davide Dattoli, fondatore e Presidente di Talent Garden.
Quando, nel 2005, nacque a San Francisco (USA) il primo vero spazio di coworking, per mano di Brad Neuberg, Davide Dattoli aveva 14 anni appena. Allora, nella sua Brescia, la rivoluzione digitale era agli albori e il mito della Silicon Valley era ancora per pochi. Anche i social media all’epoca erano il terreno di gioco di pochissimi precursori: “smanettoni” della Rete, nerd, early adopter delle nuove tecnologie e del Web che guardavano avanti e vedevano con entusiasmo l’arrivo di qualcosa di eclatante. Appena 6 anni dopo, nel 2011, mentre Facebook cresceva a vista d’occhio e Twitter iniziava a popolarsi anche dei VIP nostrani, insieme a Lorenzo Maternini e Rasa Strumskyte, Dattoli diede vita a uno tra i primi spazi di coworking in Italia, presso la vecchia redazione del Giornale di Brescia. Nacque così Talent Garden, che dopo appena un anno di attività nella città d’origine era già pronto a portare il suo modello di successo a Bergamo, Padova e Milano. A breve vennero poi i TAG di Pisa, Genova e Torino e, a seguire, Cosenza e Pordenone.
La creatura di Dattoli non era però un semplice spazio di lavoro condiviso. Fin dall’inizio a differenziare il suo modello di coworking dagli altri era scritta nel DNA di TAG: “accompagnare la crescita di persone e organizzazioni creando opportunità di formazione e networking nell’ecosistema digitale”. Qualcosa di molto più impattante di una sedia e una scrivania in affitto, che ha reso il TAG la piattaforma europea per i talenti del digitale.
Ad appena 12 anni dalla sua creazione, infatti, Talent Garden ha già creato la prima Accademia delle Competenze Digitali in Europa sui temi dei dati, marketing, design, coding, digital HR e business, con oltre 25.000 persone formate lo scorso anno e 4.500 coworker in 12 paesi diversi. Una vocazione internazionale che si era manifestata già nel 2015, con l’apertura dei Campus di Barcellona (Spagna), Kaunas (Lituania) e Tirana (Albania).
Per capire meglio questa realtà abbiamo posto alcune domande a Davide Dattoli, chiedendo in primo luogo cosa vede quando guarda indietro a questi 12 anni: “Vedo tanti fallimenti dai quali ho imparato molto, tanto impegno ma anche tanto divertimento. Talent Garden è nato dalla necessità concreta di un gruppo di amici di stare insieme e di formarsi insieme. La community di Talent Garden non condivide solo delle skills o degli spazi; il cuore del nostro business sta nella possibilità di creare una rete di persone, una community professionale fatta di talenti dello stesso settore, che si trasforma in un laboratorio di idee, dove il confronto tra professionalità diverse e complementari permette continui scambi di informazioni esperienze ed anche la creazione di progetti di business”.
Una bella storia di successo, che per Dattoli è soprattutto la realizzazione dell’obiettivo da cui tutto è partito: “Il successo più grande è vedere quello che Talent Garden riesce a fare per la nostra Community ogni giorno, il riconoscimento di contribuire alla crescita professionale delle persone, che ci scelgono per fare un upgrade delle proprie competenze e delle aziende che collaborano con noi, che si mettono in gioco pronte a modificare il modo in cui lavorano”.
Qualcosa che suona inusuale da sentire, in un Paese come l’Italia, in cui molti sostengono sia ormai impossibile investire e fare impresa, né tantomeno innovazione. Ancor più se pensiamo a quanto ampio sia il divario tra le esigenze del mercato e il mondo del lavoro, aspetto sul quale Talent Garden sta facendo molto bene: “Ci sono due grandi temi. Il primo riguarda il modo in cui la digitalizzazione, in modo naturale e molto più veloce di qualsiasi previsione ha cambiato modelli di business, modalità di lavoro e la capacità di nascita e sviluppo di prodotti e servizi. Il secondo invece riguarda il modo di lavorare e di percepire quello che si fa. Queste due accelerazioni sono state negli ultimi tre anni sia positive che negative. Abbiamo visto emergere nuove opportunità, ma anche crescere lo sgomento e la consapevolezza di essere impreparati, da parte di chi si è scoperto del tutto al di fuori dalle nuove esigenze del mercato del lavoro. È qui che entrano in gioco la formazione e la cultura. L’innovazione non consiste nel solo aggiornamento degli strumenti informatici perché la digitalizzazione costituisce un reale vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti. La diffusione della cultura digitale precede quindi l’adozione di nuovi software e strumenti, anche perché l’accettazione di nuovi processi da parte dei collaboratori costituisce un elemento essenziale per il successo della innovazione digitale”.
Ma cos’è che serve davvero alle aziende, oggi, per tenere bene il mercato e non temere il cambiamento e l’innovazione? “Credo siano fondamentalmente cinque, le caratteristiche che le aziende dovrebbero far sviluppare e crescere nei propri collaboratori per rimanere competitive:
- la conoscenza del Web. Occorre mettere i collaboratori nella condizione di recuperare informazioni, identificare quelle più utili e provenienti da fonti certe e condividere dati e documenti attraverso la Rete;
- la gestione della comunicazione digitale. La cultura digitale consente di comunicare efficacemente all’interno e all’esterno dell’azienda e permette ai collaboratori di partecipare a gruppi di lavoro e curare la propria identità digitale;
- la cura dei dati e della sicurezza. Occorre introdurre in azienda abilità trasversali correlate al valore e alla sicurezza dei dati sensibili, attraverso l’uso degli strumenti digitali;
- la creatività. Alla capacità di utilizzare correttamente gli strumenti digitali deve essere abbinata l’abilità nella creazione dei contenuti digitali in diversi formati, di saper gestire i documenti condivisi in cloud e di integrare e modificare elementi esistenti;
- l’autonomia. I collaboratori devono essere coinvolti fino ad acquisire autonomia rispetto alle esigenze di conoscenza e utilizzo di strumenti digitali che facilitano il lavoro e risolvono problemi”.
Quanto influisce su una città o un territorio la presenza di una realtà come quella del tag a livello di ecosistema digitale e innovazione?
“Talent Garden è un luogo in cui le nuove idee e l’innovazione prosperano, offrendo opportunità di business e crescita e sviluppo sia per le imprese consolidate che per le start-up emergenti presenti sul territorio. Bisogna soltanto fare più rete, senza avere la mentalità a silos che invece spesso in Italia è molto radicata. Cerchiamo di fare la nostra parte sia attraverso la formazione di Corporate Transformation, i Master della nostra Innovation School e le iniziative dedicate alla Community (workshop, eventi di networking, mentorship program e meet-up legati ai trend emergenti)”.
Oltre all’idea, al momento e alla capacità di leadership e di esecuzione, ci sono altri importanti ingredienti del rapido successo del TAG: “Prima di tutto credo che non si debba essere gelosi delle proprie idee. Penso che la condivisione, il confronto siano delle risorse preziosissime in ogni ambito. Sia personale che professionale. Tutto il team di TAG ha la fortuna di avere ogni giorno la grande opportunità di incontrare e parlare con tante persone diverse provenienti da ambiti, Paesi, culture differenti… Questo è un grande dono. Ci tiene la mente aperta e ci aiuta a imparare e a crescere costantemente. È poi importante non investire mesi nel costruire progetti nel minimo dettaglio. Sì alla progettazione, anche a lungo termine, ma la prova più importante è rappresentata dal debutto sul mercato dell’idea, del progetto. Solo il debutto all’esterno ci permette di raddrizzare la rotta, di capire cosa realmente funziona e cosa no. Infine la continua ricerca di collaboratori che siano più capaci di chi fa già parte del management team”.
Un lavoro che ha pagato, perché in questi anni Talent Garden ha maturato partnership importanti e messo in piedi un ecosistema di stakeholder che credono nel progetto e lo supportano (e viceversa). Questa è probabilmente la parte fondamentale del lavoro, ma anche la più difficile da progettare ed eseguire: “Bisogna pensare che da soli non si crea nulla, bisogna fare rete. Aprirsi a tutti, anche a coloro che non ci considerano all’inizio. Dialogare con istituzioni, università, aziende e tutti i player dell’ecosistema, è fondamentale per costruire un business di valore. Non esiste un segreto, se non l’apertura a incontrare chiunque”.
In un momento come questo, alla soglia di quella che potrebbe essere una rivoluzione nel mondo del lavoro paragonabile a quella della prima rivoluzione industriale, per sviluppare una strategia per aiutare i giovani e le start-up a crescere e a creare un ecosistema virtuoso bisognerebbe partire proprio da qui e dalla collaborazione tra la politica, le istituzioni e le organizzazioni private: “Quello che qui da noi funziona molto bene, oggi, è la collaborazione tra i due soggetti. Se vogliamo costruire il futuro del Paese dobbiamo farlo includendo anche player nuovi, in una logica di open innovation con cui contaminare tradizione e innovazione. Quindi scuola, università con strutture private. Non solo scuole e academy. Negli ultimi anni in Italia sono nate più di 10.000 startup innovative, qualche decina di incubatori e centinaia di community territoriali di innovatori e makers, con grandi energie ed entusiasmo. Se vogliamo colmare i gap tecnologici, dobbiamo ampliare il numero di soggetti che quelle cose le fanno abitualmente.Potrebbe essere un incoraggiamento importante, una spinta a nuovi modelli di formazione e di lavoro e contenuti innovativi e potrebbe essere lo stimolo a far crescere ancora di più il settore dell’innovazione in Italia”.
Ciò che in questi anni Talent Garden ha fatto è andato dunque ben oltre il concetto di coworking, arrivando a creare programmi per le aziende che le aiutano ad attrarre talenti e a lavorare sull’employer branding. Sembra tutto semplice, per come lo racconta Dattoli, ma come si passa dalla visione e dall’intuizione alla pratica e alla creazione di grandi piattaforme e progetti? “Anche in questo non ci sono segreti: facendo. Bisogna iniziare capendo, intercettando un bisogno: il nostro era il digitale. In Italia era ancora una nicchia, ma per crescere servono le competenze. Lo spazio fisico è solo il primo strumento; seguiamo i bisogni della nostra community e cerchiamo di aiutarli a crescere e sviluppare business nel digitale. Noi diamo loro network e competenze, che riteniamo essere le due chiavi per l’accelerazione di tutti gli individui”.