#Expo…niamoci tutti: le manifestazioni, il protagonismo, la necessità-capacità di arricchire vite
Qualcuno calcolerà quante persone arriveranno a Milano e quanti biglietti saranno venduti: non dico che non sia importante, anzi mi auguro che questo bilancio sia largamente positivo, ma non è e non può più essere questa l’unità di misura.
Sì, sto parlando di Expo, ma anche no. Expo prendiamola semplicemente come il classico dito che indica la classica luna. Quello che voglio dire è che ormai qualunque evento, prodotto, progetto, strategia di marketing, campagna di comunicazione che ancora tratta gli esseri umani come pubblico indifferenziato è inesorabilmente vecchio e fallimentare.
È in questo senso che – qualunque sia il numero di persone che lo visiteranno – Expo rischia di essere una fiera degli anni Settanta e non un’esposizione universale del 2015. Perché nel 2015 non siamo più spettatori, consumatori, visitatori, elettori. Oggi gli esseri umani vanno valutati e trattati come tali e non come pubblico generalista, tutto ciò che ci riguarda deve considerarci ognuno diverso, milioni di eccezioni e non tutti uguali a tutti.
È questo il senso della mai abbastanza citata frase di Steve Jobs che incitava il suo marketing a suon di “Non vendete prodotti, arricchite vite”.
Perché ciò che rende davvero senza precedenti il mutamento antropologico che stiamo vivendo in questi anni è proprio la magmatica esplosione di quanti – tanti – attraverso la vertiginosa moltiplicazione delle possibilità di scelta, postando ogni giorno squarci delle nostre biografie personali in diretta sono – siamo – diventati produttori di contenuti, autori di noi stessi, network individuali e condivisi.
Ci siamo ormai abituati a fare da noi, a costruire sintesi personali.
Ecco perché noi siamo molto meno disposti di prima ad allinearci alle categorie e alle identità tradizionali, e siamo molto meno disposti a delegare, a farci rappresentare (qui – nella caduta libera dell’idea stessa di rappresentanza e nella percezione che il voto è uno strumento sempre più piatto e inadeguato – sta la vera perdita di autorevolezza della politica).
Chiaro che questo diffuso protagonismo personale abbia i suoi effetti collaterali: che autocompiacimento e autoreferenzialità siano tutt’altro che esigui è fin troppo evidente. Chiaro che abbia una natura confusa, instabile, contraddittoria, che sfugga come acqua dalle mani: è un fenomeno vitale, non virtuoso; energetico, non etico e neppure estetico.
Ma in un modo o nell’altro chi fa eventi, chi vende prodotti, chi comunica, chi progetta, deve essere capace se non altro di tener conto che le persone non sono più quelle di prima, che vanno offerte loro opzioni plurali, che non sentono più se stesse come pubblico generalista. Per tornare all’esempio di attualità, in tanti anni Expo non è stata capace di coinvolgere le decine di migliaia di umani che a Milano lavorano nella progettazione e nella comunicazione, che si muovono con un’attitudine fai-da-te, se non – errore madornale – come semplici spettatori.
Vi ricordate la citazione di Steve Jobs? Ecco, tutto quello che sa arricchire vite, milioni di vite individuali, è buono, tutto il resto no.