La tecnologia non ci rende meno umani: l'evoluzione è mutamento
Se il popolare slogan “restiamo umani” mi ha sempre profondamente infastidito non è soltanto perché spesso è stato ipocritamente usato per fini ideologici. La mia insofferenza nasce dal rugginoso odore di conservazione che emana da quel “restiamo”. No, non siamo davvero umani se “restiamo” umani: se “restiamo umani” noi mortifichiamo l’umano, lo identifichiamo con le sue virtù mediocri. Noi siamo davvero umani se dell’umano prendiamo e sviluppiamo le spinte vitali, il senso dell’impresa, la voglia di esplorare e di evolvere, il continuo lavoro sui propri margini di miglioramento. L’umano non va difeso, non va conservato: l’umano va espanso, come hanno fatto quanti – non pochi – prima di noi hanno costruito, inventato, scoperto qualcosa di fino ad allora sconosciuto o inesplorato, allargato orizzonti, cresciuto figli che li avrebbero superati, messo al mondo nuovi valori. Tutta l’evoluzione ha funzionato così: se ci si fosse affidati a chi voleva soltanto restare umano, non ci sarebbe mai stata alcuna umana evoluzione.
Oggi, poi, noi esseri umani siamo chiamati a una sfida senza precedenti per espandere come mai prima i confini dell’umano. Il mutamento tecnologico e comunicativo, l’esplorazione del nostro DNA individuale, mille altre cose, ci stanno prepotentemente invitando a sviluppare il nostro potenziale fisico, mentale, psicologico, vitale. L’età media delle nostre esistenze si è dilatata, la nostra mente si è fatta orizzontale e connettiva, dedichiamo molta più attenzione all’allenamento e al nutrimento del corpo, abbiamo a disposizione tutto il pianeta in diretta e tutte le conoscenze della storia. Tutto questo, qualcuno non trova di meglio che interpretarlo come “post-umano”: lasciatemi dire che è una colossale sciocchezza. Per vivere fino in fondo il mutamento che stiamo vivendo, noi non dobbiamo affatto abbandonare l’umano come se fosse qualcosa da lasciarci alle spalle. Perché – non date retta alle intellettualistiche elucubrazioni buone per la fantascienza – il nostro futuro non sarà fatto di umani che diventano sempre più macchine, né di cyborg o mutanti: quello che ci serve per allargare l’umano ce l’abbiamo già nelle nostre risorse fisiche e mentali, e le innovazioni tecnologiche servono a facilitare questo processo, a ottimizzare l’enorme potenziale ancora inesplorato.
Si chiama mutamento, non mutazione.
Sto forse entrando in conflitto con quello che è il mio elettivo filosofo di riferimento? Assolutamente no: quando Friedrich Nietzsche – naturalmente è di lui che si tratta – auspicava un Superuomo, quello che proponeva di superare era non l’umano ma ciò che – ideologie, religioni, modelli di pensiero penitenziali, accettazione delle piccole virtù ai danni del senso dell’impresa- impedisce all’umano di esprimersi in tutta la sua pienezza. In questo senso il superuomo di Nietzsche è proprio l’umano che –altro che “restare umano”! – esprime la sua volontà di potenza, è l’umano che – incondizionatamente vitale – si fa “dio che danza”, è l’umano che sceglie di prendersi la totale responsabilità del proprio destino. Anche perché se c’è una vera, grande possibilità di orientare a proprio favore le opportunità del mutamento in atto non è certo quella di chiudersi su se stessi come se il mutamento fosse qualcosa a cui resistere facendo catenaccio: è soltanto se si familiarizza con l’idea che l’umano non è una specie in via d’estinzione ma anzi è fatto per la grande avventura della crescita e dell’evoluzione, che noi onoriamo davvero la nostra umana natura.